SULLA   NAVE
di Simonetta Manca

 

Non è certo una magnifica giornata: I piedi sono quasi intorpiditi dal freddo e le ossa un po’ dolenti per l’aria sferzante e greve d’umido.

Il mare è una piana appena increspata, rotta dalla scia spumosa uguale a  sempre: serafica, molle; due linee bianche che divengono sempre più divergenti, fino a scomparire nel piccolo infinito che ci separa dalla mia terra.

E’ un breve ritorno alla passione di tanto tempo fa, non è poi tanto, quando lo sfogo più grande era graffiare il bianco opaco di un foglio con fitti segni, a volte densi di significato, a volte unico ricordo di particolari che la mente scorda presto; descrizioni di attimi vissuti più o meno intensamente.

La mia terra è dietro le spalle, non dimenticata, solo lasciata con un sorriso ed un “arrivederci a prestissimo” che non pesa…… e poi spazio bianco dei giorni che verranno, uguali o diversi quali essi saranno da questo istante in poi come sempre, in un passato che ha appena smesso di essere futuro e poi presente. Gli occhi bruciano ancora per la sferza del vento che mi ha accompagnato sul ponte assieme agli ultimi frammenti di Sardegna.

Chissà perché oggi mi sento così vicina a questa terra. E’ come cadere in uno dei soliti romanzetti di indegni nostri scrittori. Ho sempre trovato fuor di luogo le loro interminabili tirate su case bianche, spiagge, monti o solo sassi, che pure sono uguali a quelli di ogni frammento di mondo, eppure oggi ci vivo dentro e mi abbandono ad osservare le ultime scogliere come un pastorello un po’ sgomento al suo primo viaggio verso il “continente” e con lui amo quei declivi di un celeste degradante che si stagliano contro il cielo terso e freddo, quelle insenature che si susseguono lente ed inesorabili, una dopo l’altra , ed ogni lingua di terra che, coraggiosa, si protende, sfidando la famelicità dell’acqua sempre pronta a guadagnare nuovi spazi ad ogni colpo di vento un po’ più prepotente, celando un pezzetto del mio mondo … … E sarei pronta a giurare che quello è l’ultimo angolo di terra; invece pian piano si allontana, scoprendo un nuovo piccolo golfo, un sicuro riparo dove sonnecchiano, grinzose e stanche, bianche case di paesini appena accennati sulle carte.

 Il faro è sempre lì, vigile ed attento, pronto ad accendere il suo occhio protettore al calare della sera, abbarbicato fortemente sul limitare dello scoglio più testardo che, spavaldo, si allontana dal grande corpo appesantito dagli anni e dalle preoccupazioni quotidiane della Madre Isola.

Silenzioso e tenace, avvolge col suo lungo braccio di luce la spuma che dimentichiamo alla nostre spalle e attende, giorno dopo giorno, di rendersi utile anche a chi , nella buona sorte, non lo degna di uno sguardo.

I colori della terra cedono il posto alle fredde sfumature di blu, azzurro e celeste e tutto entra a far parte di un quadro appartenente al “periodo azzurro” di un qualsiasi pittore che non sarà mai famoso, perché continua a dipingere una realtà meravigliosa, ma troppo dettagliata.

 Sul ponte non c’è anima viva. Il vento smorza la voglia di contemplare quel quadro, così restiamo solo io, gli ultimi scorci di terra, il cielo ed i gabbiani, signori assoluti di quel silenzio. Incuranti del freddo, del giorno della settimana e di qualsiasi altra cosa a cui un uomo baderebbe sopra tutto, continuano a volare, bucando, coi loro corpi compatti e forti, la scia nocciola che disturba tanta uniformità di colore. E’ il fumo poco denso, giallognolo, che segue la nave e compie un arco nel cielo. Ma è ben lungi dal sembrare un arcobaleno. Ha piuttosto un aspetto malaticcio, pesto, terreo.

E’ un sollievo vedere che i gabbiani ci passano attraverso senza che quelle sordide molecole possano intaccarne il candore. Continuano a volteggiare instancabili. Chissà perché ci seguono!?! Sanno bene cosa sia una nave e forse nelle loro strida le hanno dato anche un nome. Fanno con lei delle brevi gare, le volteggiano intorno, si fanno superare per poi raggiungerla in un attimo. Forse giocano……o forse ridono di lei, del suo goffo corpo pesante, delle sue assurde arie da regina del mare. Comunque sia, continuano a remigare nell’aria descrivendo piccoli circoli con la punta di ogni ala.

…….. Ad un tratto uno di essi si mette parallelo a noi, vola in alto, poi si getta a capofitto…….

Il suo aspetto e fiero, ma è piccolo di corporatura. Deve essere molto giovane, ha ancora le piume grigie e la sua padronanza della magia del volo non è del tutto perfetta. Così un ala entra in stallo ed il piccolo precipita in un lungo e velocissimo vortice…….ma riesce a riprendersi solo pochi istanti prima dell’impatto contro l’acqua plumbea e poco invitante.

Gli altri gabbiani gli si fanno attorno; descrivono ampi cerchi intorno a lui per rassicurarlo, poi tutti insieme si allontanano lasciandomi stupefatta.

Non avevo mai visto niente di simile. Quell’interminabile avvitamento era sconcertante.

All’orizzonte la lingua di terra, che pian piano si allontana, questa volta nasconde solo l’immensità del mare.

Non ha più senso stare qui fuori; meglio rientrare in cabina, prima che gli arti perdano la capacità di muoversi per l’intensità del freddo.