CARLO MONZANI
17-09-1944 25-04-2022
Il solco caravaggesco di Carlo Monzani Carlo Monzani, figlio di Mario ed Enrichetta Crotti, nasce a Cassano d’Adda (Mi) il 17/09/1944. Dopo aver mosso i primi e fondamentali passi sotto la guida del pittore Mario Dorati di Milano e una breve parentesi agli Artefici di Brera, consegue la maturità artistica nel 1978. Si diploma all’Accademia di Belle Arti di Brera con la tesi Il realismo di Caravaggio ai tempi nostri sotto la guida di Raffaele De Grada che, il 23/09/1982 scrive sul frontespizio: « In ricordo di una buona collaborazione e con stima per la posizione morale ed estetica di Carlo Monzani». Successivamente si diploma restauratore di dipinti su tela e su tavola alla P.D.M. (Professioni Didattiche Moderne) di Milano e diventa iconografo presso la Fondazione Russia Cristiana di Seriate (BG). Al fine di perfezionare la conoscenza tecnica si diploma alla Scuola Superiore d’Arte applicata all’Industria del Castello Sforzesco nella Sezione Tecniche Murarie: Affresco e Decorazione . Nel 2004 viene insignito del titolo di Cavaliere dell’Arte dalla Casa Editrice il Quadrato di Milano. Per molti anni ha insegnato alla Scuola d’Arte del Gruppo Artistico di Cassano d’Adda, formando numerosi artisti. È stato chiamato in qualità di giudice in diverse mostre ed ha esposto le sue opere a Cassano d’Adda, Treviglio e Caravaggio. Ha riprodotto, su commissione, opere di autori famosi come Guido Reni, Velasquez, David e ha inoltre riprodotto: Il ponte di Cassano” di Marco Gozzi su una parete del Bar Garibaldi proprio a Cassano d'Adda. Artista metodico e preciso, forte di un solido studio, ha amato il bello e ha lavorato alacremente con pazienza e rigore. Grande fautore dell’arte classica, la sua pittura, di marcata impronta caravaggesca, è di grande suggestione ed è fortemente evocativa come la testa di Medusa , la cena di Emmaus, le crocifissioni e le resurrezioni. I corpi muscolosi delle figure maschili, avvolti in ampi panneggi dal color rosso solenne, richiamano tele del passato ma i volti sono di personaggi locali e attuali, amici dell’artista che getta così un ponte tra il ‘600, la seconda metà del ‘900 e il terzo millennio. I soggetti sono in prevalenza religiosi e mitologici e pur ispirandosi ad artisti famosi, portano una ventata di nuovo con l’inserimento di dettagli attuali. Monzani ha ritratto numerose volte un amico morto poco più che trentenne, vittima di un incidente automobilistico e gli ha assegnato il ruolo del Cristo e in particolare è la figura centrale della resurrezione. Probabilmente questa morte prematura ha segnato indelebilmente il pittore che ha voluto sublimare questo giovane bello e aitante offrendogli una vita oltre la morte. È stato un propugnatore della rivalutazione del disegno per una giusta ripresa della forma necessaria alla validità del contenuto. Con le sue opere ha voluto guardare alla bellezza delle forme che Dio ci ha affidato con l’intento di recuperare la dignità dell’arte. Non ha amato l’arte moderna e contemporanea e ha rivolto una critica feroce nei confronti dell’arte informale in quanto riteneva che producesse «un’immensa miseria, buona solo per un pubblico ingenuo e volgare». Nelle sue tele, anche di grande formato, aleggia sempre il senso della morte, in particolare nelle crocifissioni dove anche il cane partecipa al dolore, nei sepolcreti, nella falce in Kronos, il tempo che mangia i figli, nei teschi e nei soldati armati addormentati. Il memento mori (ricordati che devi morire) traspare spesso anche nella splendida Natura morta (2001), teatro dell’imbandigione da un lato con uva e pesche ma deterioramento e disfacimento dall’altro nelle foglie accartocciate per sottolineare la caducità della vita. Vita e morte, sempre presenti nella sua produzione, sono per Monzani un modo per assurgere alla Bellezza e ce lo ricorda costantemente con la sua coerenza tematica e stilistica che da sempre connota le sue opere, senza mai lasciarsi sedurre dalle mode dell’arte ufficiale. L’ Autoritratto con supplica e vanitas (1999) è una rappresentazione narcisistica di sé; il pittore, munito di tavolozza e pennello, rivolge questa supplica: Signore, dammi l’arte, perché possa vedere il tuo volto. A destra, in primo piano, campeggia un teschio e una clessidra che ci fanno riflettere sulla precarietà dell’esistenza, sul trascorrere inesorabile del tempo e sulla natura effimera dei beni mondani. Anche nell’ Apoteosi (2006) lo vediamo nei panni imperiali di Napoleone, tratto dal dipinto di Ingres, ci fa pensare che la modestia non era una sua peculiarità. Nella Maddalena penitente (2003), Monzani sceglie di raffigurare la peccatrice pentita come una piacente ragazza del popolo con un braccio proteso verso il crocefisso. Non guarda alla sua sinistra dove c’è il flacone di profumo e i monili simboleggiando così un gesto di rifiuto della mondanità e delle ricchezze materiali, gesto necessario per potersi riconciliare con Dio. Il quadro è realizzato con la tecnica dello specchio convesso che consente di vedere la figura della Maddalena dall’alto. Un cono di luce, simbolo della Grazia Salvifica, lo isola dallo sfondo buio, simbolo del peccato, conferendo all’immagine un senso di solitudine. Così Monzani commenta la sua opera Il piatto di minestra (2004) : Quest'uomo, profugo da un paese devastato dalla guerra, sta consumando quello che potrebbe essere il suo ultimo pasto; un piatto di minestra offerto da un'organizzazione caritatevole. L'aspetto evidente è di chi ha attraversato l'arco della sua vita ed ora si presenta a noi suscitando un moto di compassione misto a commovente affetto. Non è lacero, sporco ma vestito dignitosamente con la sua sciarpa ben accomodata che lo protegge dal freddo. Baffi e barba ben curati. Segni che distinguono una persona che, nonostante le condizioni più avverse, riesce a conservare una buona predisposizione d'animo. Sul tavolo, altre al piatto di minestra che si appresta a consumare, mezzo bicchiere di vino mentre gli fa compagnia un Crocefisso che sta ad indicare il suo Credo in quel Gesù che lascia mai solo nessuno ed una pagnotta appena iniziata. È il pane del Giubileo, sfornato in occasione dell'ultimo evento giubilare. E quel tavolo con i chiodi sono il legno ed i chiodi della Croce che ha portato nella sua vita. All'inizio ho scritto di ultimo pasto ma ora devo però concludere, visto che a quanto pare al nostro anziano l'appetito non manca, sicuramente questo non sarà il suo ultimo pasto! Colpisce la compostezza di questo anziano che consuma un pasto frugale nella più completa solitudine, accentuata dallo sfondo scuro. La Flagellazione (2014) costituisce una rappresentazione non convenzionale della realtà umana, un modo nuovo di fare pittura, bloccando sulla tela, tra contrasti netti di luci e ombre, corpi in movimento, colti nel momento di più alta e sconvolgente tensione non solo fisica ma soprattutto emotiva e psichica. Si notino alcuni particolari come l’orologio al polso del fustigatore e l’abbigliamento del Cristo che indossa jeans e cintura. La Deposizione nel sepolcro (2015), nel suo insieme semplice e grandiosa allo stesso tempo, ritrae il momento in cui Gesù Cristo sta per essere sepolto. L’aspetto monumentale è ravvisabile nella scultorea anatomia di Cristo. Il corpo è in un drammatico abbandono ed è sorretto a fatica anche dalla figura del Monzani curiosamente in abbigliamento ginnico. L’equilibrio compositivo del dipinto si compenetra con il dolore straziante dei presenti che ne accentuano la drammaticità della narrazione.
Natura morta, 2001, olio su tela, 45 x 50 cm, collezione Vincenzo Monzani, Cassano d’Adda Autoritratto con supplica e vanitas, 1999, olio su tela, 77 x 63 cm, collezione privata, Roma La Maddalena penitente, 2003, olio su tela, 90 x 100 cm, collezione privata, Roma il piatto di minestra, 2004, olio su tela, 80 x100 cm, collezione Vincenzo Monzani, Cassano d’Adda Flagellazione, 2014, olio su tela, 80 x 100 cm, collezione privata, Roma  Deposizione nel sepolcro, 2015, olio su tela, 120 x 100 cm, collezione privata, Roma
Sono del 2015 Il Dolore sotto la croce e Il Crocefisso che simboleggiano la salvezza dell’umanità, la vittoria di Gesù Cristo sul peccato e sul male. Il Cristo è sofferente, ha la testa reclinata sulla spalla, gli occhi chiusi e il corpo incurvato in uno spasimo di dolore. Le figure ritratte ai piedi della croce non comunicano tra loro ma sono racchiuse nel loro intimo dolore e sono protese solo verso il Cristo.
Dolore sotto la croce, 2005, olio su tela, 100 x 80 cm, collezione privata, Roma Crocefisso, 2005, olio su tela, 70 x 50 cm, collezione privata,  Roma
La Danza macabra (2017) è un tema iconografico di derivazione tardo medievale nel quale Monzani rappresenta una danza tra donne e scheletri, il cui significato è la supremazia della morte sugli uomini. Il senso della morte, l’alone di angoscia e il mistero che lo pervade sono mitigati dalla illusoria leggerezza dei passi e delle movenze delle ballerine.
Danza macabra, 2017, olio su tela, 80 x 100 cm, collezione privata, Roma
La Verità che esce dal pozzo (2019) richiama la leggenda del secolo XIX e narra che un giorno la Verità e la Menzogna si sono incontrate e la Menzogna ha invitato la Verità a fare un bagno insieme nel pozzo. Si sono spogliate e si sono immerse ma improvvisamente la Menzogna uscì dall’acqua e fuggì indossando i vestiti della Verità. La Verità furiosa uscì dal pozzo per riprendersi i suoi abiti ma essendo incapace di vestire i panni della Menzogna, cominciò a camminare senza vestiti, tutti inorridirono, vedendo la Verità nuda, e distolsero lo sguardo con rabbia e disprezzo. La povera Verità tornò nel pozzo e scomparve per sempre, nascondendo la sua vergogna. Da allora la Menzogna gira per il mondo, vestita come la Verità, soddisfacendo i bisogni della società, poiché il mondo non nutre alcun desiderio di incontrare la Verità nuda. Questo è il modo in cui ancor oggi le persone preferiscono accettare la menzogna camuffata come verità e non la nuda verità. Lo sguardo della Verità è adirato, ha la bocca spalancata e lancia un urlo come se si rivolgesse proprio allo spettatore. Quest’ultimo teme la verità non solo per la sua collera ma perché egli in cuor suo sa di essere colpevole di averla costretta a rimanere nel pozzo. Già Democrito secoli prima scrisse: Della Verità nulla sappiamo, perché la Verità è in un pozzo . È un dipinto quello di Monzani che presenta in primo piano un’anfora e un cane bellissimo molto umanizzato e sembra dialogare con la nuda Verità che uscendo allo scoperto mostra la sua luminosa bellezza. Il cane si ispira probabilmente all’affresco di Annibale Carracci Mercurio e Paride di Villa Farnese a Roma, pur avendo un aspetto decisamente più docile.
La verità che esce dal pozzo, 2019, olio su tela, 100 x 80 cm, collezione Carmelo Calci Roma
Le Moire (2020), assimilate anche alle Parche romane, appartengono alla mitologia greca e come figlie della Notte sono la personificazione del destino ineluttabile. Sono le tessitrici della vita e decidono, al momento della nascita, il destino da assegnare a ogni persona. Sono tre donne dall’aspetto di vecchie che dimorano nel regno dei morti, l’Ade. Il loro compito è quello di tessere il filo del fato di ogni uomo, svolgerlo e infine reciderlo decretandone la morte. Cloto, la più giovane, regge il filo dei giorni per la tela della vita. Lachesi dispensa la sorte avvolgendo al fuso il filo che a ciascuno è assegnato decidendone la lunghezza della vita. Atropo, la più vecchia, l’inesorabile che taglia i fili con le cesoie quando giunge il momento di arrestare la vita.
Le moire, 2020, olio su tela, 100 x 80 cm, collezione Carmelo Calci, Roma  Apoteosi, 2006, olio su tela, 100 x 80 cm, collezione privata, Roma
«L'arte   vera   unisce   tutti   i   popoli   perché   ha   un   messaggio   universale   che   permette   agli   uomini   di comprendersi    e    di    ritrovare    la    propria    dignità    avvicinandosi    a    Dio»,    era    uno    dei    messaggi    che condivideva con gli altri.
La storia della Cena in Emmaus è tratta da un passo del vangelo di Luca che racconta un fatto accaduto dopo la resurrezione di Cristo. L’episodio della cena si svolge dopo alcuni giorni a Emmaus, un piccolo villaggio vicino a Gerusalemme e due pellegrini in cammino incontrano un viandante che solo dopo la sua scomparsa riconosceranno nel Cristo. Il dipinto La cena in Emmaus , olio su tela, cm 120 x 150 è stato donato da Vincenzo Monzani al Comune di Cassano d’Adda dove si trova esposto in sala consiliare. La figura centrale del Cristo ha il volto di Roberto Mapelli, detti Titi, imbianchino, a destra Emilio Giuliani detto Nuto , piastrellista, in piedi Ferdinando Panzera, cognato del pittore, porta a tavola un’anguria che simboleggia l’allegra convivialità e a sinistra Salvatore Griselli, di professione muratore. Un quadro nato da una foto fatta per gioco e ora che i quattro effgiati e il pittore sono defunti rimane l’opera che li ha immortalati e consegnato alla storia. La foto fu scattata al bar Casati di via Ponchielli, angolo via Riboldi, ora non più in attività. Il dipinto ebbe una lunga gestazione, il maestro studiava la luce e ombra, e oltre la maestria vi era la componente affettiva, soprattutto nei confronti dell’amico morto prematuramente. Serena Mapelli, nipote di Roberto, fa notare il particolare della croce che si forma con le ombre sulla tavola. Lo zio venne a mancare prima che il quadro fosse finito, aveva solo 32 anni. Monzani invitava i parenti nello studio per vedere come procedeva il quadro, corredato da diversi studi a carboncino. La storia non la fanno solo i condottieri e i politici, ma anche gli uomini comuni che con il loro operato contribuiscono a dare ampio respiro ai fatti collettivi e ai rapporti della vita umana con l’ambiente.
Carlo Monzani - La cena in Emmaus - olio su tela, cm. 120 x 150  -fotografia di Luigi Cernuschi
E, proprio Atropo, la Signora del Destino, taglia il filo della vita di Carlo Monzani il 25/04/2022 a Cassano d’Adda.
Maria Grazia Colombo - Aprile e Maggio 2023