Proveniente dalla Cina, questa pratica viene introdotta al tempo dell'imperatore Giustiniano e in breve tempo si diffonde in tutta Europa.

L'allevamento del baco da seta è stato per molti secoli fiorente in molte regioni europee a clima temperato, particolarmente in Italia. Era un  successo economico e un lavoro complementare a quello agricolo.

Fu praticata da noi fin dal tempo della dominazione austriaca.

Nel 1725, leggo in ASM Catasto Censo Comuni, cart. 2458, che a Cassano i moroni danno un totale di 4140 tra quelli fiorenti, i novelli e i cadenti.

Nell'Ottocento si apre la filanda in castello.

La coltura dei bachi fa guadagnare i primi soldi dell'annata ed è il primo reddito che entra in famiglia, serve per pagare l'affitto dei terreni e delle case e i bottegai.

I filugelli si nutrono di foglie di gelso e la sfogliatura delle piante impegna uomini e donne sui gelsi a riempire i sacchi di canapa.

La prima foglia richiede la benedizione del sacerdote per tenere lontano le malattie dei bachi; il calcino, il giallume.

Si brucia l'ulivo benedetto, si fanno suffumigi di zolfo per disinfettare l'ambiente e gli attrezzi.

La coltura dura 40 giorni: dalla fine di aprile ai primi di giugno.

Ogni otto giorni i bachi dormono e hanno la muta. Dopo la quarta muta è la mangiata della grossa e poi fanno il bozzolo.

Si prepara il bosco con paglia e frasche secche. I filugelli vi salgono per fare il bozzolo, si chiudono in una trama di fili d'oro.

Segue la sbozzolatura ed i bozzoli sono portati alla filanda, al seccatoio.

Sono giorni di odore caratteristico per il paese, di crisalidi fatte morire scottate nelle grandi caldaie della filanda.

Poi prosegue il lavoro delle filere che attaccano all'aspo il filo di seta (ci vogliono otto bozzoli per completare un filo) e fanno le matasse. Una brava filatrice può filare in quattro ore due chili di bozzoli.

Lavorano in condizioni non facili. Quelle povere mani tenute continuamente nell'acqua bollente diventano bianche e violette, si increspano coprendosi di piaghette.

Le ragazze cassanesi non è che cerchino il lavoro in filanda; qui arrivano quelle di Groppello e di Inzago, ritenendosi il mestiere di "filerà" molto malsano.

E cantano in coro queste filere mentre lavorano e recitano il Rosario.

Dalla coltura dei bozzoli restano a Cassano due ricordi: il camino sul castello, proprio dove c'era la filanda e qualche pianta di gelso sperduta nella campagna.

 

"Se può venire il tempo della foglia

mi voglio maritar, venga chi voglia.

Il tempo della foglia l’è già venuto,

io avevo un bell’amante e l’ho perduto”

 

 

Tratta da “I Quaderni del Portavoce n. 3” di Carlo Valli “ COME SI VIVEVA la storia autentica dei nostri nonni”  n. 19 "Dizionario Cassanese" Airoldi, Cassinotti, Gilli, Valli.

 

il grande gelso di fronte al castello dopo la nevicata del gennaio 2009  e in primavera - fotografie di Renato Siesa

 

I bachi da seta

E andando verso l'estate scoprii un 'altra attività di cui avevo letto sui libri di scuola senza però averci capito molto. Attorno ai campi coltivati correvano dei fossati con l'acqua per l'irrigazione che veniva prelevata dal non lontano canale della Martesana; i margini dei fossati, chiamati semplicemente fossi, venivano protetti dall'erosione dell'acqua piantandoci dei filari di alberi che venivano chiamati "gabbade" Quasi sempre gli alberi erano dei gelsi chiamati in dialetto "moroni" perché oltre a tante foglie facevano delle grosse more di colore biancastro e di sapore dolciastro che a noi ragazzi piacevano molto. Attorno alla base dei gelsi crescevano in notevole quantità dei funghi che venivano chiamati appunto "gabareu" e che erano ottimi in padella. Ma questi gelsi erano particolarmente importanti per le loro foglie che servivano per alimentare i "bigatt" cioè i bachi da seta, di cui alla Binaga si faceva allevamento. All'inizio venivano messi questi piccoli vermi su diversi tavolati sovrapposti in uno stanzone a loro riservato ed ogni giorno vi si portavano quantità immense di foglie di gelso che questi vermi mangiavano con una voracità veramente mostruosa, diventando ogni giorno sempre più grossi. Al massimo diventavano lunghi cinque sei centimetri e tondi un po' più di una sigaretta; volendo si potevano accarezzare con un dito; avevano una pelle liscia e morbida e restavano del tutto indifferenti quando venivano toccati. Arrivati a queste dimensioni non mangiavano più; "andavano nel bosco" cioè iniziavano a formare il bozzolo con un filamento ininterrotto lungo qualche chilometro. Quando i bozzoli erano terminati e prima che il baco trasformatosi in farfalla ne uscisse facendo un foro nel bozzolo e rendendolo quindi inservibile perché si interrompeva il lungo filamento, i bozzoli venivano fatti bollire in grossi pentoloni e poi venduti per ricavarne la seta. A quei tempi l'allevamento dei bachi da seta era un'attività redditizia in quanto la seta serviva per scopi bellici, in particolare per fare i paracadute.

Tratta da “I Quaderni del Portavoce n. 36” di Carlo Valli “Tra cronaca e diario

 

LA COLTIVAZIONE DEL GELSO

  •  Questa pianta è introdotta in Italia nel 1500.
  •  Dal popolo è chiamata morone per due motivi: da Ludovico il Moro che l'ha largamente diffusa e dalla forma del suo frutto.
  •  Nel 1725 a Groppello ci sono 772 moroni novelli, 783 in essere e 220 cadenti
  •  A Cassano 1481 in essere, 1339 novelli, 1320 cadenti. Totale in Cassano 4140 (fonte: Archivio di Stato di Milano).
  •  Nell'Ottocento a Cassano si apre una filanda in castello.
  •  Piazza Perrucchetti si chiamava nell'Ottocento Piazza dei moroni, dato che era ombreggiata da queste piante.
  •  Il gelso oggi è completamente scomparso.

Considerazioni

 

In campagna quella del gelso era una cultura assai diffusa e i nomi che dalla pianta in questione venivano attribuiti a località anche importanti, quale una piazza, e sta ad indicare l'importanza che ad essa veniva conferita.

Il notevole numero dei gelsi autorizza a pensare che la produzione non era quella che si limitava esclusivamente alla filanda situata nel castello, a Cassano d'Adda, ma anche molte erano le famiglie che ne facevano uso, possedendo strumenti adatti alla lavorazione stessa.

Come si può notare dai numeri sopra citati buona parte della campagna era una coltivazione di gelsi. A suffragare tale considerazione sta anche la presenza nel dialetto locale di numerosi termini, che traggono origine proprio da ciò che i Cassanesi vedevano sotto i loro occhi: una distesa di gelsi! E' inoltre chiaro che li apprezzavano in quanto erano per loro fonte di ricchezza o di sostentamento; moltissime erano le famiglie che lavoravano la seta e coltivavano il gelso in quanto nutrimento dei bachi. La presenza di una filanda nel Castello di Cassano d'Adda sta ad indicare che il prodotto era richiesto, almeno a tal punto da pensare a una sua produzione a livello industriale, quindi assai notevole.

In Piazza Perrucchetti è rimasto un esemplare di un gelso; ormai le case lo stanno per affogare, ma rimane pur sempre un simbolo di come il gelso fosse diffuso a Cassano d'Adda.

Fausto Gilli

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