DRAGO DEL LAGO GERUNDO

 

La leggenda di un drago nel lago Gerundo è comune ad un vastissimo comprensorio lodigiano e bergamasco, oltre che a Cassano d'Adda. Siamo ai tempi in cui tra Cassano d'Adda e la vasta depressione territoriale sottostante esisteva, vastissimo, il famoso lago Gerundo o palude formata dalle acque alluvionali dell'Adda.

In questo lago viveva un terribile biscione o drago crestato, con la bocca piena di fuoco e fumo, che appestava i paesi della riviera ed emergeva dal pantano a mangiare bambini e fanciulle.

Un giorno un giovane sconosciuto, forte ed eroico, affrontò coraggiosamente il feroce mostro e con una lotta epica riuscì ad ucciderlo. Dopo di che si fece prosciugare il lago.

Il fantastico racconto sembra partire da Calvenzano, dove c'è anche una via a documentare la realtà del fatto: "via del biscione". La famiglia ducale milanese dei Visconti sembra avere raccolto da questa leggenda motivo per il proprio stemma, la biscia che mangia un bambino.

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I MARTUI DA CASAA

 

Due sono le dizioni per spiegare la denominazione di "martui" appioppata ai Cassanesi.

La prima dice che a Brembate ad un bergamasco che stava intagliando burattini di legno cadde il trigozzuto Gioppino nel Brembo. Di là la maschera, sfociata nell'Adda, arrivò al ponte di Cassano. Accorsero i borghigiani nostri, richiamati dalle alte grida dei primi avvistatori di guardia sul campanile; decisero di dare il colpo di grazia al forestiero che transitava così sformato ed annegarlo, sommergendolo nelle acque sotto una fittissima sassaiola. Ma il malcapitato straniero non affondava.

Un esperto chiamato dal di fuori dichiarò che i cassanesi erano proprio dei "martui" perché ancora non sapevano che il legno non affonda nell'acqua.

La seconda dizione, invece, così racconta:

In occasione della sagra del paese, i cassanesi, per testimoniare la giurisdizione parrocchiale anche oltre l'Adda, portavano la statua di S. Zeno processionalmente alle Cascine S. Pietro.

Giunti sul ponte, i portatori di S. Zeno, per un traballamento imprevisto, ribaltano il Santo nel fiume.

Di grandissima fede e religiosità, i cassanesi sono disperati per l'involontario sacrilegio e si danno al recupero del Patrono. Presi da febbre collettiva si dirigono di corsa risalendo il fiume fino a Trezzo, senza riflettere che dovrebbero scendere verso Rivolta seguendo la corrente.

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S. BARNABA E S. DIONIGI

 

Una tradizione assicura l'evangelizzazione del nostro borgo avvenuta per mezzo dell'apostolo S. Barnaba, giunto da Milano ed in viaggio per Brescia.

particolare

 

Si mostra ancora oggi nel cortiletto dell'oratorio di S. Dionigi una colonna ed una croce dette di S. Barnaba. Per tutto il secolo decimo ottavo i vescovi di Cremona in visita pastorale alla nostra parrocchia elencano tra le reliquie insigni questi cimeli in tanta venerazione.

 

Un'altra riguarda i vescovi di Milano: S. Dionigi e S. Ambrogio. Siamo tra storia e leggende, non sappiamo dove cessi la prima ed inizi la seconda.

Ci sono documenti pittorici dell'inizio del 1600, c'è una discussa lettera di S. Ambrogio a S. Basilio ed ancora, c'è il "Liber Notitiae Sanctorum mediolanensium" del 1300 seguito dal Castiglioni a sostenere l'autenticità storica. Poi ci pensa la fantasiosa fede del popolo a costruire il resto.

 

Ecco la leggenda:

 

eletto Vescovo di Milano, Sant'Ambrogio pensò subito di riportare dall'Armenia, dove erano state sepolte, le reliquie del suo antecessore Dionigi, morto in esilio perché cacciato da Milano dall'imperatore ariano. La salma arrivò dall'Adriatico e risalendo per il Po e l'Adda giunse al porto di Cassano, dove S. Ambrogio attendeva.

Qui S. Dionigi resuscitò per abbracciare S. Ambrogio e si ricoricò nella serenità della morte, ma irrigidendosi ed appesantendo in modo che nessuna muta di cavalli riuscì a smuovere.

Era volontà del martire avere sepoltura a Cassano, dove fu eretto l'oratorio per custodire le sacre reliquie.

Fu Ariberto, Arcivescovo nel mille, a costruire una basilica ed un monastero in Milano dedicandoli a San Dionigi ove riportò da Cassano le reliquie del Santo suo predecessore.

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UN CONVENTO DI FRATI ERETICI INGHIOTTITO DALLA MUZZA

Sull'esistenza della chiesa dei santi Nazario e Celso in Cassano abbiamo notizia prima del mille, nel 975.

La leggenda cui facciamo riferimento è riportata da Don Gaetano Bazzi.

La chiesa dunque si trovava sul costone della Muzza. Sarà crollata per vecchiaia, per corrosione delle acque in seguito a straripamenti o per deviazione della corrente del fiume. Non sappiamo neppure a quale ordine i monaci appartenessero: benedettini o umiliati? La leggenda dice che erano eretici.

In una notte il convento e la chiesa, con tutti i frati, furono inghiottiti dalla corrente del fiume che si era improvvisamente ingrossato per punizione divina.

Ancor oggi la Muzza che piega a gomito, di fronte la cascina Chiara, producendo più rumorosa l'onda, si denomina "al mujon da san Nazar", indicato come il luogo dell'antico convento. Sommozzatori, ricercando nella Muzza, potrebbero trovare una grotta con campanile e campane.

 

 

 

 

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LA FATA ABDUANA

Molti anni or sono, nelle notti di plenilunio di Maggio, le giovani nell'Adda buttavano fiori per ricordare la "fata abduana". Nel nostro castello, nel 1245, ebbe soggiorno per alcun tempo il bellissimo re Enzo, cantore di poesie d'amore in dolce stil novo. Principe valoroso e gentile, preso d'amore per una donzella, giovane patrizia, se la sposò.

La fanciulla era residente a Trezzo. Il corteo nuziale, con imbarcazioni addobbate a fiori, di profumi, di luci e di colori si diresse per l'Adda verso il nostro castello.

All'approdo del corteo nuziale erano i paggi, le dame e tutto il popolo in festa, accogliente la bellissima "fata abduana" vestita di bianco, con le trecce bionde scendenti ad avvolgere l'esile corpo. La notte avvolse d'amore gli sposi ed il profumo di fiori che avevano arricchito il talamo nuziale spense, nella morte dolcissima, la giovane sposa.

 

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LA MALEDIZIONE DELLA DUCHESSA

Le leggende hanno personaggi che dimenticano la carta d'identità rimanendo sempre contemporanei.

Si sta scavando da Concesa a Milano il Naviglio della Martesana, che passa da Cassano.

Bertola da Novate, nel 1457, dà inizio ai lavori. Ma le casse dello Stato sono vuote e non si sa chi incolpare dell'ammanco favoloso. Finalmente viene scoperto il ladro che risulta essere il figlio della stessa duchessa di Milano.

Per il delitto scoperto è fissata la sentenza: la decapitazione. La duchessa, disperata per la sorte del figlio, offre di pagare personalmente l'ingente somma, ottenendo la promessa che il figlio sarà risparmiato dalla morte. Si riprendono i lavori.

Ultimata l'ingente opera e pagati tutti gli addetti ai lavori, proditoriamente il giovane duca viene vilmente ucciso.

La disperazione della madre duchessa è tale che, voltandosi verso il Naviglio che le aveva alimentata la sicurezza di aver salvato il figlio, lo maledice. È da allora che:

 

In dal Navili de la Martesana

an nega oeun a la setìmana.

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NOTTE DI NATALE 1406

 

La notte di Natale del 1406 la castellana di Cassano, Gilberta, sposa di Guiffredo, fedele dei Visconti, dà alla luce un bambino. È padrino Antonio Visconti. Gli viene posto il nome di Vitfrido.

Due anni dopo la castellana è cacciata via dal castello col suo piccolo, perché Antonio Visconti è stato strangolato in castello per ordine del Malatesta.

Settant'anni dopo quella notte di Natale, un frate domenicano si presenta in castello chiedendo di celebrare messa. Terminata la cerimonia scende a pregare sulla tomba di Antonio Visconti. Nel buio inciampa e cade spezzandosi il capo.

Gli accorsi trovano il vecchio frate in un lago di sangue, lo riconoscono: è Vitfrido, figlio di Gilberta la castellana.

 

 

 

 

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LA MURATA VIVA NEL CASTELLO

 

 

Cassano ha un castello: forse il più antico di tutto il ducato di Milano, anche se tra i più malandati. (Nota: ora non più perché è stato ristrutturato) È citato in un documento dell'877.

Fu sede estiva e militare degli arcivescovi principi di Milano nell'alto medioevo, poi dei Visconti e poi degli Sforza.

Baluardo di difesa del ducato, attorno alle sue mura si svolsero battaglie famose dirette da condottieri altrettanto importanti. Le sue prigioni, gallerie, pozzi, testimoniano fatti di sangue: dallo strangolamento dei fratelli Antonio e Francesco Visconti nel 1408 alla morte di fame dei prigionieri del Revellino nel 1704. È quindi comprensibile come tra queste mura fioriscano leggende di tragedia.

La più patetica è quella di Bona di Savoia. Già moglie di Galeazzo Sforza. Vedova resse il ducato in nome del figlioletto Gian Galeazzo con il consiglio sapiente di Cecco Simonetta, calabrese. Fattosi adulto, il figlio prese le redini dello Stato, decapitò Cecco, imprigionò la madre nel nostro castello e la fece murare viva in un pilastro delle prigioni sotterranee, dove morì.

Ogni notte nei sotterranei del castello si sente il lamento dell'infelice duchessa che implora liberazione.

La leggenda non ha basi storiche perché è assodato che Bona di Savoia è morta nel castello di Fossano, in Piemonte, nel novembre del 1503 a 54 anni.

Il Campi nella "Storia di Cremona" afferma che nel castello di Cassano si trova un affresco raffigurante la duchessa. Da qui forse la leggenda della sventurata regina.

 

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IL FANTASMA DEL CARDINALE

Un fantasma appare: è un cardinale.

Il vecchio cardinale era arrivato da Milano al palazzo degli arcivescovi in Gropello la sera tarda.

Era stanco di lavoro, di malattia e di anni. L'avevano convinto al riposo nella residenza di campagna per qualche giorno. La notte alta era ancora al tavolo di lavoro, mentre nel camino si spegneva la fiamma che sulle pareti accendeva vampe rossastre. Il cardinale ad un tratto alza gli occhi dalle carte ed incrocia gli occhi di un distinto signore sconosciuto che, chissà come, gli sta davanti allungandogli sulla pergamena una ricca mappa di una misteriosa città di fuoco con porte monumentali.

Non si sa quale sia stato l'argomento della lunga conversazione protrattasi per tutta la notte.

Il mattino il cardinale è trovato morto allo scrittoio con la mano tesa sulla pergamena che nessuno sa decifrare.

Si fanno ricerche sul misterioso personaggio della notte che nessuno sa donde sia arrivato né per dove sia sparito. Soltanto l'odore di zolfo e certe bruciacchiature sui tappeti danno il sospetto di tragedia, di apparizione demoniaca.

Adesso, ogni notte, nel palazzo degli arcivescovi si sente la presenza di un fantasma che fruga cercando tra le carte qualcosa. Qualcuno sa dare una spiegazione: il cardinale si rifiutò di barattare l'anima col diavolo per ottenere la pianta dell'inferno. È l'arcivescovo che ogni notte ritorna in cerca della mappa lasciata dal diavolo sul tavolo per evitare che qualcuno possa trovare le porte dell'inferno e dannarsi.

 

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IL LATTE DI S. MAMETE

 

C'era affrescato, nell'oratorio di S. Ambrogio al cimitero, accanto alla Madonna nera, anche S. Mamete.

Di questo Santo si racconta che sia stato miracolosamente nutrito nei boschi dalle cerve.

Lo stesso suo nome, presso il popolo, era richiamo alle mammelle. Per questi motivi, presso di noi, era tenuto in grande venerazione. Le puerpere grattavano la calce di sotto i piedi dell'eremita e se la mangiavano, sicure di poter far fronte all'allattamento dei numerosi figli.

Tutte le disposizioni vescovili, ripetute per un secolo durante le visite pastorali, non riuscirono ad arginare la superstizione.

 

 

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I MORT DEL SENABOR

 

Si tratta di una cappelletta campestre dedicata a S. Nabore, già ricordata nel 1564, dove la tradizione afferma siano stati sepolti i morti di peste e forse soldati delle battaglie numerose in questi territori. Può darsi si tratti della peste di S. Carlo.

Il nome può derivare da "bosco vecchio" — arbor senex — oppure dal Santo Nabore cui è dedicato.

La devozione religiosa fa accorrere qui a chiedere la guarigione dei malati.

Sa va a "tacà al maa". Si appendono ai cancelli della cappelletta o anche ai rami dei cespugli più vicini bende o strisce di stoffa appartenenti al malato o che l'ha toccato precedentemente. La potenza miracolosa del Santo è tale che il male, la malattia, viene guarito. Nei giorni di vento queste fettucce sventolano dagli alberi. Questa superstizione si ripete anche alla cappella di S. Rocco a Brignano.

 

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ODOARDO ED ELISA

Un giovane cassanese, Odoardo, parte con Napoleone per la guerra di Russia.

Alla Beresina, fiume famoso per la ritirata Napoleonica di Mosca il 26-28 Novembre 1812, rimane eroe della patria. La promessa sposa Elisa, cassanese, si butta nell'Adda per il dolore. La leggenda romantica è scritta da Biagio Lanza in "Viaggio al lago di Como" e ripetuta da Davide Bertolotti in "Gita sul Naviglio, da Milano a Cassano e sull'Adda, da Cassano a Lecco", 1824.

 

 

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LA GIUVANELA

Dalle streghe ai briganti nella fantasia popolare il passo è facile.

Cassano, posto a confine tra il ducato di Milano e la Repubblica Veneta, a cavallo di un fiume grande come l'Adda, per via di Cascine San Pietro, che è oltre il fiume e rimane milanese, doveva essere covo di briganti, di fuorusciti, di bravi, di disertori degli eserciti che proprio da noi celebravano storiche battaglie.

Una banda di briganti aveva alla cascina S. Domenico di sopra il suo covo. La guidava non un uomo con l'occhio bendato, ma una donna forsennata di nome "Giuvanela" che trasmise al cascinale il proprio nome.

Il magazzeno della refurtiva era nel bosco presso la Muzza, dove attualmente sorge la Domus.

Da qui la banda ogni notte partiva a dar l'assalto ai passeggeri del ponte, sbucando dai folti boschi di cui Cassano era largamente dotato.

 

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CARLO ALBERTO IN CASA PECCHIO

Nel 1848, una notte, avvolto in lungo mantello nero, arriva a Cassano un nobile distinto signore.

Si tratta di un cospiratore, addirittura di re Carlo Alberto che, in casa del Pecchio, covo di carbonari, prende accordi per la liberazione della Lombardia dai tedeschi.

 

 

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LA PITA D'ORO

Ma questa leggenda è di Monza!

Si tratta della famosa chioccia d'oro coi pulcini, conservata nel tesoro del Duomo.

La si racconta anche da noi, soprattutto a Groppello: la "pita d'oro" è sepolta alle Vallette!

PROFEZIE DI DON LUIGI LEGNANI

Don Luigi Legnani, fratello di Mons. Marcellino e zio del gesuita Don Enrico, è un cassanese morto in concetto di santità. È sepolto nell'oratorio di S. Ambrogio e di lui si raccontano profezie, soprattutto riguardanti la liberazione dei prigionieri dal carcere locale.

La devozione e le leggende hanno un addentellato sia con la santità del sacerdote, sia con il servizio da lui esercitato per tanti anni presso i carcerati di Cassano.

LA LOCANDIERA DELL'ALBERGO GRANDE

Forse è la medesima protagonista Giuvanela.

Si tratta della locandiera dell'Albergo Grande, situato come ancora adesso in piazza maggiore.

Era di facili costumi per attirare al suo locale una clientela senza scrupoli morali.

Corrono avventure piccanti e fantasiose.

 

ROMANZO D'AMORE TRA CASSANO E

ALBIGNANO

 

Questo è un autentico romanzo pubblicato all'inizio del Novecento, ricco di lettere che romanticamente un medico di Cassano spediva alla sua innamorata. Più che una leggenda si tratta di un amore contestato, a lieto fine.

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