ABBIATI FILIPPO (1640-1715)

 LE SUE OPERE

NEL CONVENTO DI SANT'ANTONIO

IN CASSANO D'ADDA

Da “I Quaderni del Portavoce n. 17 - Cronaca di un anno 1990” di Carlo Valli

Filippo Abbiati rappresenta senza ombra di dubbio uno degli artisti più significativi del panorama artistico milanese a cavallo tra il secolo XVII e il secolo XVIII. Assume in sé quello spirito di evoluzione artistica dello stile settecentesco, dimostrando di essere aperto non solo alle esperienze del Nuvolone, del quale fu allievo, ma anche a quelle di numerosi altri pittori a lui contemporanei quali il Petrini, il Magatti ed il Carloni.

Il suo stile particolare si formò alla luce dei pittori lombardi della prima metà del seicento, dai quali cercò di assimilare le lezioni sulla disposizione delle figure e dei colori, che influenzarono la propria ricerca di forme più libere e sciolte. Esse traevano origine dalle nuove scelte estetiche e dalla nuova sensibilità religiosa che si orientava sempre più verso una visione meno drammaturgica dell'evento sacro. Un ulteriore influsso lo ebbe dalla cultura genovese espressa in modo esemplare da Giulio Cesare Procaccini, alla quale lo indirizzò anche la stessa scuola del Nuvolone.

L'Abbiati soggiornò per un breve periodo a Roma. Fu colpito oltre che dalle opere degli artisti emiliani che lavoravano nella capitale, dalle opere michelangiolesche della Cappella Sistina. Da tale viaggio, del quale non si ha alcuna notizia ma che sicuramente avvenne prima del 1674 (poiché in tale data eseguì la tela di "S. Bernardo Tolomei" nella chiesa dei Cappuccini di S. Vittore a Milano), riportò l'attitudine a risolvere i problemi scenografici delle proprie opere con "l'ardito impianto della composizione". E proprio a partire da questa composizione che alcuni studiosi gli attribuiscono il dipinto dell'Annunciazione della Chiesa del Carmine a Milano (ora scomparso), che sposterebbe il suo viaggio a Roma ad una data anteriore al 16/1.

Tornato quindi definitivamente a Milano, fondò un'importante scuola che attrasse anche Alessandro Magnasco, nella quale sono ben visibili gli influssi tardo-manieristici lombardi. A questo primo periodo appartengono infatti le opere rappresentanti il "Beato Tolomeo" nella Chiesa cappuccina di S. Vittore a Milano (1674); il "S. Giovanni Battista" del Santuario di Saronno (1677); ed il "Ritratto di I. Pirogalli" della raccolta della Ca' Granda, che rappresenta l'inizio per l'Abbiati della ritrattistica settecentesca.

Leggermente diverse sono alcune opere che mostrano una certa superiorità compositivo-cromatica quali: la tela di "S. Agostino” , che faceva parte della serie dei maggiori fondatori degli Ordini religiosi; "Il Concilio di Efeso" nella Chiesa del Carmine a Milano, compiuta negli anni 1683-1685; l'"Ingresso di S. Carlo in Duomo", conservato nel Duomo di Milano; e le tre grandi tele del Santuario di Rho. Ancora di maggiore impeto emozionale e di una maggiore struttura compositiva sono le opere risalenti all'ultimo decennio del secolo XVII nel quale ritrovò quella carica artistica del periodo romano, che espresse poi con un accento influenzato dai seicenteschi veneziani. A questo periodo gli studiosi fanno risalire: le "Storie di S. Andrea di Avellino" della Chiesa di S. Antonio Abate; il ciclo delle tele raffiguranti S. Sebastiano; il "S. Bernardo ai piedi del Pontefice" in S. Ambrogio a Milano; la decorazione ad affresco della Chiesa di S. Alessandro in Milano. Tale decorazione, che senza dubbio si può definire come "l'impresa più vasta" che l'Abbiati compì, doveva infatti ricoprire tutte le volte della navata minore, del coro e della cupola e fu eseguita, a partire dal 1690 e terminata solo verso la fine del 1600, in collaborazione con Fedele Bianchi.

Successivamente a tale opera, compì altre numerose tele dipingendo spesso in località ed in chiese minori, come nel caso del convento di Cassano d'Adda, che segnano il suo definitivo abbandono della plasticità seicentesca ed evidenziano il suo abbraccio ad un tipo di pittura convulsa, caratterizzata da una pennellata estremamente vivace e da un rapido nervosismo.

Nella Chiesa di S. Antonio dipinse due tele, di cui una rappresenta "l'Angelo custode" (che tuttora risulta dispersa), e l'altra rappresenta "S. Nicola in venerazione della Madonna". Quest'ultima tela possiede un dinamismo particolare, nel quale l'apparato scenografico viene ottenuto mediante l'apposizione di Angeli che, sebbene si discostino dalle sue raffigurazioni giovanili, rappresentano un richiamo allo stile lombardo da lui così studiato durante il suo primo periodo artistico. Abbiati con questa tela conferma la sua maturazione pittorica, riaffermando la dinamicità della scena mediante una forte scioltezza compositiva che, senza prescindere dalle ragioni narrative dell'evento raffigurato, raggiunge un buon gioco chiaroscurale.

Essa rappresenta un importante documento del pittore lombardo che concorse a creare, mediante questa tela dalla rapida pennellata, la venerazione di questo Santo, nella quale emerge una certa composizione caotica ottenuta dall'intersezione delle linee geometriche dalla quale l'intera scena sembra scaturire. Di tutte queste tele una testimonianza importate ci viene dalla Cronichetta anonima del 700 nella quale possiamo leggere: "Devo ancora esprimere a chi legge se non il nome almeno il cognome dei Pittori che si compiacquero di graciare delle loro opere (mediante però un profumatissimo pagamento di duecento scudi il quadro dell'Altar maggiore, e per quello della capella di Sant'Felice centocinquanta scudi) vennero fatti per opera dei signor Legnanino, l'altro della Cappella di S. Nicolò fu fatto per mano del sig. Abbiati per cento Filipi, ambidue i più insigni pittori (che) trovarsi possono in cotesta nostra città di Milano. Il quadro poi che è in choro dalla Beatiss.ma Vergine così bello, e così stimato, è fatto dal medesimo sig. Legnanino, che per sua divotione l'ha cortesamente donato al M.R.P. Antonio da Gallarate in riconitione d'haverli fatto fare da lui li sud.ti quadri in Chiesa (...) ed il quadro delle V.e Maria in choro, fu donato come sopra disse il sig. Legnanino, che non l'haverebbe dato per meno di cento scudi".

Nel 1930 entrambe le tele furono restaurate e ripulite da un certo Venoli Paolo che in una lettera custodita nell'Archivio Parrocchiale definisce la tela dell'altare maggiore "molto danneggiata" e sottolinea come entrambe i dipinti abbiano il "colore cadente, e prosciugato da vernice ossidata". Fu probabilmente in questa occasione che avvenne erroneamente lo scambio della posizione delle due tele degli altari laterali. Una prova di questo è il fatto che fu concesso alla famiglia del Marchese d'Adda l'utilizzo della Cappella di S. Nicola che allora era l'unica a poter consentire un accesso senza entrare nella vera e propria struttura conventuale, comprovandoci come la tela di quest'ultima cappella sia stata invertita con quella posta nella pala di S. Felice.

                                       Z.F.