LEGNANI
STEFANO MARIA (1661-1713)
LE
SUE OPERE NEL CONVENTO DI SANT'ANTONIO
IN CASSANO D'ADDA Da “I Quaderni del
Portavoce n. 17 - Cronaca di un anno 1990” di Carlo Valli Nacque a Milano il 16 aprile 1661 da una famiglia di artisti
originaria di Saronno, e fu proprio dal padre, Ambrogio Cristoforo
(ritrattista), che acquisì le prime nozioni di pittura. La sua vera
forma stilistica l'apprese però non dai maestri milanesi che, legati
alla seconda Accademica Ambrosiana, esprimevano ancora "gli stanchi
epigoni dell'ultimo manierismo milanese", ma dai suoi viaggi e
soggiorni di Bologna e di Roma che si prolungarono a partire dal 1680
fino al 1686. Lo stile del Legnanino fu poi influenzato dalla tradizione
accademica emiliana, dai pittori genovesi che operavano in quegli anni a
Roma e dal barocco espresso da Pietro da Cortona, da Andrea Pazzo e dal
Baciccio, che finiranno per influenzare in modo indelebile
(congiuntamente all'influsso marattesto) gli affreschi dell'arco
trionfale della Chiesa di S. Angelo di Milano, che il Legnanino dipinse
al suo ritorno nella città natale. Sono quindi proprio in questo
scenario artistico che si devono sottolineare i rapporti che il pittore
ebbe con i diversi artisti dell'ambiente classicistico romano come il
Cignoni, dei quali sono ben visibili gli influssi sulle opere che compì
a Roma, come, ad esempio, la "Sacra
Famiglia" nella Chiesa di S. Francesco. Tornato a Milano verso la fine del 1685 e gli inizi del 1686,
compì numerosi affreschi che subito lo legarono all'ambito cappuccino.
Per loro dipinse l'"Ecce
homo" all'esterno della IX Cappella del Sacro Monte di Varese
(1686), concluse la decorazione della XVI Cappella del Sacro Monte
d'Orta (1693-1698) ed affrescò le Cappelle XI e XIV sempre del Sacro
Monte di Varese, che furono poi terminate dopo la sua morte da Pietro
Gilardi. Queste opere furono forse il passaggio ad una fase di maggiore
scioltezza pittorica, caratterizzata da pennellate veloci che diverranno
la peculiarità delle sue pitture milanesi quali: la pala di "S.
Giuseppe col Bambino" per la Chiesa di S. Marcellina, datata
verso la prima metà del IX decennio del 1600 (ora di proprietà della
Pinacoteca di Brera ed in deposito nella Chiesa Parrocchiale di Carinate);
e gli affreschi eseguiti in collaborazione con il monzese Giuseppe
Antonio Castelli (detto il Castellino) della navata centrale del Duomo
di Modena, tra il 1690 e il 1693 dei grandi medaglioni del "Gloria
del Battista" e della "Gloria
dell'Agnello Mistico col Battista e altri Santi". Queste sue
opere insieme a quelle più o meno coeve, rese da poco note in uno
studio del Capraro (1987), dipinte nella Chiesa dei SS. Cosmo e Romano
da Uboldo (dove fra il 1691 e il 1694 affrescò il coro e la cappella di
S. Ausonia e la pala dell'altare maggiore) confermano il suo ruolo
preponderante e di primo maestro dei pittori tardo seicenteschi e degli
inizi del XVIII secolo. Nell'ultimo decennio del 1600 egli cominciò a dividersi tra i
cantieri lombardi e quelli piemontesi. In quest'ultima regione lavorò
ripetutamente a Novara dove dipinse: gli affreschi nella Chiesa di S.
Gaudenzio (1691) e della cappella della Madonna di Loreto (1694-1695);
le tele di "S. Giuseppe e
l'Angelo" e la "Morte
di S. Giuseppe" (1708) per il Duomo e che ora sono conservate
nei Civici musei. A Torino si trovano invece gli affreschi del Palazzo
Barolo (1694); la Cappella della Congregazione dei Banchieri e dei
Mercanti (1695); due tele anteriori al 1705; e gli affreschi di Palazzo
Carignano (1695-1703). Importante è poi lo "Sposalizio
Mistico di S. Caterina" della Pinacoteca di Brera eseguito per
il Dottor Giovanni Battista Barso di Lodi. Sempre in questo periodo Stefano Maria Legnani affrescò
quello che senza dubbio si può considerare il suo vero e proprio
capolavoro, e nel quale trova uno spazio lo spirito sfarzoso e
l'ampiezza delle forme del periodo barocco: l'"incoronazione
di Ester" nella Chiesa dell'Incoronata di Lodi, che richiama la
suntuosità cromatica delle decorazioni genovesi. Dei primi anni del
1700 sono poi da collocarsi la "Predica
di Sebastiano", su tela, collocata nella basilica di S.
Ambrogio a Milano (anteriore al 1703); la "Madonna
del suffragio" della Chiesa di S. Antonino a Brentona di
Sulbiate; le "Storie di Bacco
e Arianna" per il Palazzo Brambilla di Milano ed ora di
proprietà del Comune di Saronno; e le due grandi tele della "Natività
con S. Gerolamo" e del "Cristo
appare a S. Gerolamo in atto di tradurre le Sacre Scritture"
dipinte per la Chiesa di SS. Cosmo e Damiano ed ora nella Chiesa di S.
Marco in Milano. Degli ultimi suoi anni di attività pittorica le notizie ci
appaiono più confuse e sbiadite tanto che per conoscere l'intero
patrimonio pittorico del Legnanino bisognerà attendere degli studi
monografici più precisi e completi. Sono comunque attribuitegli la "Predica
del Battista" ed il "S.
Giacomo in Battaglia contro i mari" (nella Cappella Durini in
Sant'Angelo a Milano); e gli affreschi del coro della Chiesa di S.
Filippo Neri a Genova, con il ciclo delle "Storie del Santo". Prima della morte (avvenuta nel maggio del 1713) il Legnanino
si recò anche a Cassano d'Adda dove dipinse per il convento dei
Cappuccini ben tre tele, delle quali una destinata all'altare maggiore,
una all'altare laterale dedicato a S. Felice, ed un'altra regalata dallo
stesso pittore per il coro dei frati. Nella parete di fondo della
chiesa, collocata nella pala dell'altare maggiore, vi è l'"Estasi
di S. Antonio"
che fu pagata dai frati cappuccini "mediante profumatissimo pagamento di 200 scudi". La
caratteristica fondamentale di tale tela è l'impostazione su due
diagonali la cui principale risulta essere quella congiungente la
Madonna, il Gesù Bambino ed il Santo. Altra caratteristica è l'accentuatissima
prospettiva rovesciata, o inversa, derivante dall'iconostasi bizantina,
che oltre a conferire una maggiore solennità alla scena aiuta
l'osservatore a diventare partecipe dell'evento rappresentato. Questo
tipo particolare di prospettiva rende poi possibile, nella parte
superiore della figura, la collocazione di una piccola dilatazione della
scena che, sommata al parallelismo delle due rette (rappresentate una
dalla figura della Madonna e l'altra dai diversi Angeli laterali) rende
l'intera scena protesa verso l'alto, richiamando così il cammino
ascetico dell'osservatore. L'intera figura è inquadrata mediante l'ausilio di un
drappeggio dipinto che concorre a creare il dinamismo cercato e voluto
dall'autore. Gli stessi abiti e le stesse stoffe preziose dai colori
semplici e composti, sono animate dal dinamico gioco cromatico pregevole
nel contrasto tra la vivacità dei soggetti, collocati in primo piano, e
la luminosità dello sfondo, anticipando in qualche modo l'esperienza
pittorica di Giambattista Tiepolo. La delicatezza della stesura dei
colori e la raffigurazione corporea dei soggetti rendono qui necessario
un duplice paragone, grazie al quale si possono scorgere alcune
similitudini con una tela dello stesso soggetto eseguito nella prima metà
del '600 da Pietro Berettini, ora conservata nella Pinacoteca Vaticana;
ed un paragone con la pittura dello stesso Biagio Belotti. La tela nel suo insieme non si discosta dall'iconografia
tradizionale che si è affermata nei secoli. Essa però si colloca in un
particolare momento dell'affermazione settecentesca della figura del
Santo. In questa tela infatti, oltre ai tratti semplici e dolci
derivanti dallo stesso S. Francesco, al volto giovane e
"glabro" ed al saio, viene ripreso il motivo dell'apparizione
del Bambino Gesù a S. Antonio. La rappresentazione del santo risulta
rifarsi a quella tradizione popolare, convalidata definitivamente dal
Donatello nella scultura bronzea dell'altare maggiore della Basilica di
S. Antonio da Padova, per la figura giovanile, ed al tempo stesso
risulta riprendere il tema, introdotto da Van Dyck in una pala ora di
proprietà della Pinacoteca di Brera, della Vergine che porge il suo
Figlio all'adorazione di S. Antonio. La pala del Legnanino risulta
essere quindi il proseguimento di una tradizione artistica poiché, in
questa immagine degli Angeli che portano con la benevolenza della
Madonna il Gesù Bambino nelle braccia del Santo, si colloca a metà
strada tra l'opera del Van Dyck e quella più tarda (anch'essa
settecentesca) di Sebastiano Ricci e Luca Giordano, che negli affreschi
della volta della Chiesa di S. Antonio degli Alemanni di Madrini,
rappresentano il piccolo Gesù che sfugge dalle braccia della Madonna
per protendersi in quella del Santo. Altra opera del pittore lombardo, che gli fu commissionata dai
frati cassanesi, è la tela di "S.
Felice da Cantalice con la Madonna e S. Francesco", nella quale
entrambi i santi sono in contemplazione di Gesù Bambino. In questa tela
il gioco prospettico è inverso di quello utilizzato nella pala
dell'altare maggiore, poiché la costruzione delle immagini ci appare
come la risultante di due diagonali che dai lati inferiori convergono
verso l'alto. Anche questa scena risulta essere inquadrata da un
drappeggio che è presente nella parte superiore e nel lato destro (per
chi guarda) dalla stessa tela. L'intera immagine lascia però
intravvedere un minore apparato scenografico nel quale il contrasto
della gamma cromatica, assai differente dalla violenza chiaroscurale del
contemporaneo Filippo Abbiati, non risulta certo essere di minor
effetto. Il minor movimento dei tessuti e la maggiore staticità
dell'immagine, se congiunti ad uno stile pittorico forse ancora più
veloce in questa opera che in quella precedente, rendono questa tela
indiscutibilmente inferiore di qualità a quella di S. Antonio, ma di
uguale effetto per quanto concerne la commozione spirituale del fedele.
Anche questa tela segue abbastanza fedelmente l'iconografia ufficiale e
più tradizionale dei santi rappresentati. Lo stesso S. Francesco
d'Assisi appare riprendere lo spirito che animò la prima ritrattistica
popolare del santo, che "a sua volta si rifaceva alla sua figura
storica. Così il S. Francesco del Legnanino, malgrado appaia con i
segni delle stigmate, risulta più conforme all'iconografia giottesca
che lo rappresenta con un volto affabile e mansueto e nella quale viene
evidenziata la letizia evangelica, anche se il Legnanino non manca di
sottolineare le privazioni notevoli al quale il santo si sottoponeva. Il
pittore milanese esprime, pertanto, un ritratto di S. Francesco
abbastanza veritiero che, anche se addolcito ed influenzato dalla
tradizione popolare ed artistica, ci appare simile alla descrizione che
faceva Tommaso da Celano che così ne parlava: "Di
non grande statura, piuttosto piccolo e grande, egli aveva una testa non
proprio grande e rotonda, un viso un po' lungo e largo, una fronte
liscia e piccola, occhi neri e limpidi, non grandi, capelli scuri,
sopraciglia diritte, un naso regolare, stretto e diritto, orecchie
rivolte verso l'alto, ma piccole, tempie piatte; denti folti, regolari e
bianchi, labbra piccole e sottile; una barba nera, rada; un collo esile
le spalle diritte, le braccia corte, le mani soffici, le dita lunghe, le
unghie un po' pronunziate, le gambe esili, i piedi piccolissimi; la
pelle tenera, era molto magro". È poi importante sottolineare
come il Legnanino rifiutò in questa tela quella tradizione, affermatesi
alla fine del XVI ed all'inizio del XVII secolo, che vedeva un S.
Francesco con caratteri duri e sofferenti. Essa si discosta, pertanto,
da quelle rappresentazioni del santo che esprimevano un eccessivo
spirito di penitenza (che era stato a sua volta promosso e decretato dai
canoni fissati dallo stesso Concilio di Trento), e che è ben visibile
nella pittura del Greco, che tra il 1586 ed il 1614 produsse una
cinquantina di quadri raffiguranti S. Francesco. Z.F.
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