nato ad Onara 1194, morto a Soncino il 27 settembre 1259

 

DA: I QUADERNI DEL PORTAVOCE N. 2 “IL VALICO DI CASSANO IN TERRA D’ADDA”

Leone Calvi Parisetti – Michele Libutti

 

Se il 1100 fu il secolo del Barbarossa, quello successivo si illumina del nome di Federico II suo nipote. Come il nonno anch'egli inseguì sogni di gloria, vagheggiando non più un impero ma uno Stato italiano unito e modellato sulla falsariga di quello normanno della madre Costanza d'Altavilla. Pur allevato all'ombra della formale protezione papale, nei confronti di Roma prese ben presto posizione, trascinando il nostro paese in un nuovo divampare di lotte fra guelfi e ghibellini. I tempi però, erano cambiati e questa volta le opposte ideologie più che servire gli interessi del Papa o dell'Imperatore, fornirono pretesto ad alleanze e scontri più apertamente di interesse individuale o locale. Tipica al riguardo fu la figura di Ezzelino III da Romano.

Ezzelino, come dice il nome, fu il terzo della sua famiglia a chiamarsi così. La famiglia, in realtà, era di origine tedesca ed il primo di essa sceso in Italia fu Ecelo di Arpone nel 1036. Si trattava di un semplice soldato squattrinato e di scarsa nobiltà ma innegabilmente valoroso tanto che la sua fedeltà all'imperatore Corrado II il Salico fu premiata dallo stesso con la concessione dei feudi di Onara e di Romano. Dopo di lui la famiglia diede inizio ad una quasi secolare politica di espansione verso le città vicine di Treviso, Vicenza, Padova e Verona: non rifuggendo da ogni sorta di imbrogli, omicidi e stragi (34). Colui che però raggiunse l'acme di questi metodi fu appunto il terzo. Nonostante la crudeltà e le scelleratezze che commise e grazie alle quali è passato alla storia, Ezzelino III fu, in un certo senso, un personaggio in anticipo sui tempi. Come ha riconosciuto il Burckhardt (35) se in Federico II si può intravvedere il sovrano di uno stato moderno rinascimentale, nelle azioni di Ezzelino si può riconoscere un primo tentativo  di costruire una Signoria del tipo di quelle che saranno poi le Signorie dei Visconti,

Ezzelino III da Romano foto da "I Quaderni del Portavoce n. 35"

 

 degli Sforza, degli Scaligeri e degli Estensi. Potremmo addirittura dire che il suo esempio fu seguito da successori altrettanto crudeli, cinici e privi di scrupoli, i quali, però, riuscirono nell'intento da lui fallito, fornendo con ciò al Machiavelli gli esemplari sui quali disegnare la figura del suo "Principe".

Nella nostra storia troviamo Ezzelino, nel 1245, cavalcare a fianco di Enzo, figlio naturale dell'Imperatore, alla testa di un esercito raccogliticcio di ghibellini cremonesi, parmigiani e reggiani e diretto contro la solita ribelle Milano.

È la risposta di Federico II alla terza scomunica lanciatagli da Innocenzo IV nel corso del Concilio di Lione del medesimo anno, e la fortuna delle armi è confidata dall'Imperatore a quattro luogotenenti: Ezzelino da Romano vicario per il territorio tra l'Oglio e Trento, Oberto Pelavicino per quello ad ovest dell'Oglio e i due figli naturali di Federico, Enzo re di Sardegna e Federico di Antiochia.

Partita dalla sempre fedele Cremona, l'armata giunge in faccia a Cassano e quivi Enzo, memore dell'espediente di Corrado di Dalmazia ai tempi del bisnonno, cerca di aggirare il valico tentando un guado ad Albignano. Ma gli va male, per cui ritorna su Cassano e questa volta il guado gli riesce proprio sotto la Rocca.

I milanesi ripiegano su Gorgonzola dove, con un'improvvisa sortita, riesce a Simone da Locarno di mettere in fuga gli imperiali. Lo stesso Enzo viene catturato e rinchiuso nella torre.

Noi lasceremo il poveretto alla sua lunga se pur dorata prigionia e seguiremo invece il feroce Ezzelino il quale, quasi avulso dalle declinanti fortune del suo imperatore, conduce nella Marca Trevigiana una guerra personale. La sua sempre più cieca furia e il suo sempre più pesante fardello di scelleratezze alla fine gli si ritorcono contro. Prima è la scomunica del Papa e poi, nel 1258, sono gli stessi suoi nemici che, moltiplicandosi, decidono di metter la parola fine al suo destino.

Nell'agosto di quell'anno Ezzelino aveva posto l'assedio alla fortezza di Orzinovi che era l'unica roccaforte del bresciano che ancora gli resisteva. I collegati mossero, allora, dalle loro sedi, diretti tutti verso Brescia per impedire al tiranno il ritorno nelle sue terre: Oberto e Buoso da Cremona, Martino della Torre da Milano, il marchese d'Este da Mantova. Ezzelino non si lasciò sorprendere sul campo. Rimandò a Brescia la sua fanteria e rimasto con ottomila cavalieri mosse a sua volta fulmineamente verso Milano che sapeva sguarnita di truppe. Passato l'Oglio a Palazzolo e l'Adda a Vaprio, e vista sfumare la possibilità di prendere Milano, puntò su Monza, ma la città gli resistette. Allora si buttò su Trezzo che diede alle fiamme e occupò il ponte di Cassano per disporre di una via per la ritirata. Mentre egli perdeva tempo a mettere a sacco la campagne di Vimercate da est giungevano gli eserciti alleati a chiudergli ogni scampo. La battaglia si scatenò il 27 settembre proprio sul ponte di Cassano.

Dopo un violento combattimento le truppe di Ezzelino lo persero e vennero ributtate verso Vimercate ma da quella parte a risospingerle verso l'Adda arrivarono gli uomini del della Torre.

Ezzelino ritenta allora la via di Cassano ma è ferito e costretto a ripiegare verso Vaprio ed era quasi riuscito a portare sulla riva sinistra del fiume tutte le sue truppe quando su di lui piombò il marchese d'Este. I suoi tedeschi e bassanesi si sbandano e lui stesso, ferito nuovamente, è costretto a cercare scampo nella fuga fra la boscaglia. Ma qualche chilometro più in la viene circondato da un manipolo di nemici ed è lo stesso Buoso da Doara a tirarlo già da cavallo: oramai sfinito per il sangue perduto e disperato per la sconfitta.  

 

 

Sconfitta di Ezzelino III da Romano a Cassano d'Adda il 27 settembre 1259 (Pinacoteca di Modena A. Malatesta) riproduzione a cura della Pro Loco di Cassano d'Adda.

 

A proposito di questa ultima battaglia di Ezzelino, il Mazzi (36) sostiene che, dopo Vaprio, egli tentò un guado in corrispondenza di un "vacuum copiarum o caprarum" antistante Blancanuca che lo avrebbe condotto fra le mura amiche di Treviglio lungo la "via del bosco". E che, a mezzo il fiume, fu disarcionato da un terribile colpo di mazza infertogli da un gigante dell'epoca di nome Antelmo da Cova.  

 

 

La terza cupola della Chiesa Parrocchiale di Cassano d'Adda

Il Miolato lo dipinge furibondo, minaccioso col pugno alzato, mentre il soldato Antelmo da Cova lo ferisce.

 

La verità si è che né il Mazzi né altri possono dire con sicurezza ove sorgesse la mitica Blancanuca cui si fa riferimento in occasione della fine di Ezzelino. Uno dei tanti paesi della Ghiaradadda come Portoli, Villa, Orliano, Prato, Cusarola scomparsi nella notte dei tempi. Di certo si può dire che essa sorgeva sulla riva sinistra del fiume e probabilmente faceva parte di quella "farà" Autarena che si estendeva a nord e a sud dell'attuale Fara d'Adda. Lo stesso nome ne tradisce un'origine longobarda ed appare citato nel testamento di Taido (774), negli Acta Cremonae (990), nel Codex Diplomaticus Bang (1052) e in quello Pergomatis di Mario Lupo (1086); nel De gestibus Frederici di Sire Raul (1158) e nell'Historia Laudensis di Ottone Morena. In tutti questi documenti il nome di Blancanuca è associato a quello di Bergias, un altro insediamento  longobardo che con buona

Ezzelino III da Romano - Particolare del dipinto del Miolato sulla terza cupola

 attendibilità sorgeva ove oggi sono le Cascine San Pietro: una frazione di Cassano in terra trevigliese, poco a sud del ponte. I due paesi non dovevano essere molto lontani l'uno dall'altro giacché risulta avessero in comune una "domusocculta", cioè un edificio fortificato. Le cronache, inoltre, legano il nome dei due paesi al ponte di Cassano inducendo l'idea che non ne dovessero essere molto distanti, per cui, mettendo insieme tutti questi dati si dovrebbe collocare Blancanuca subito al di là del Retorto, all'inizio di quella "via del bosco" che conduceva a Treviglio e che, come abbiamo visto, fu invano perseguita da Ezzelino in fuga.

Comunque sia andata, dopo la cattura, Ezzelino venne condotto a Soncino; visse ancora qualche giorno e poi l'infezione delle ferite lo condusse a morte.

Si dice che egli abbia rifiutato ogni cura dei medici e si sparse anche la voce che egli si fosse ucciso sbattendo la testa contro i muri della prigione. Ma si tratta verosimilmente di una delle tante leggende fiorite su quella figura eccezionale.

"Guardati, Ezzelino — lo aveva ammonito un'indovina — dai paesi che finiscono in "ano". Là ti aspetta la fine!" Ma anche questa fiaba probabilmente fu raccontata dopo che si seppe della fine del tiranno dinnanzi a Cassano.

Buoso da Doara si incaricò di far seppellire il cadavere di Ezzelino nella chiesa di San Francesco di Soncino. Sulla lapide tombale venne scritta l'epigrafe:

 

"In questo freddo marmo si racchiude colui che già fu il terrore dell'Italia, celebre del nome di Ezzelino da Romano, che il valore soncinese prostrò e di cui le mura di Cassano attestano la sanguinosa sconfitta".

 

Il "valore soncinese" naturalmente vuol essere un riconoscimento che l'autore dell'epigrafe rivolge alla sua città; ma non furono Soncino e nemmeno Cassano a sconfiggere il Signore da Romano. Furono in realtà le sue stesse crudeltà e scelleratezze; la sua insensata sete di sangue divenuta ormai una forma di pazzia o mania che dir si voglia.

Come dice un antico detto: "Dio dapprima acceca coloro che intende poi distruggere".

Come dobbiamo immaginarci il valico di Cassano in quel lontano XIII0 secolo? Le rive del fiume erano occupate da estesi boschi di aceri che dal Lodigiano praticamente arrivavano fino alle porte di Bergamo dando ricetto a lupi, cinghiali e ad una selvaggina che faceva della caccia uno dei passatempi preferiti dai Signori.

La Muzza non era stata ancora scavata per cui sotto la ripa lombarda, fino al fiume, si stendeva una Terra ben più sollevata e ricca di vegetazione di quanto non lo sia oggi. L'Adda, di conseguenza fluiva ancora in un filone unico e anche la sua larghezza e la portata delle acque di allora sono difficilmente immaginabili ai giorni nostri. Si può averne solo una lontana idea rifacendosi alle cronache di quei tempi, cronache nelle quali sovente traspaiono accenni alle acque gonfie del fiume, alle difficoltà del suo attraversamento nonché al cospicuo numero di armati che, quando vi cadevano dentro, non avevamo scampo.

Non si possiedono dati sicuri su quella che era la Cassano del tempo. Probabilmente nulla più che una fattoria di proprietà del Monastero di Sant'Ambrogio di Milano circondata da poche casupole di contadini.

Non si sa in base a quali fonti ma il Milani (37) stima in circa ottocento le anime del posto. Anche se risulta che fin dall'epoca dell'arcivescovo Ansperto esso era stato in qualche modo munito di fortificazioni, di un vero e proprio Castello ancora non se ne parla e gli stessi storici dell'epoca, Sire Raul e Ottone Morena, non ne fanno alcun cenno.

Fattoria e casupole erano arroccate sul culmine del ciglione incombente sulla Terra e la strada che veniva da Milano correva discosto dall'abitato, in un piano sensibilmente più basso, per poi discendere ulteriormente sulla Terra lungo una valletta che ancora oggi si può intuire sotto la chiesa di San Dionigi.

Le strade di allora, poco più che viottoli, andavano zigzagando per le campagne e nel folto dei boschi, ma, pur in queste ridotte loro dimensioni vedevano il passaggio di carri trainati da buoi, uomini a cavallo e pedoni dalle più disparate fogge e natura.

E ciò perché, in quei tempi, quasi in reazione ai secoli precedenti che avevano visto la gente chiusa negli abitati e le campagne deserte, ci si muoveva molto. Popolavano le strade girovaghi senza fissa dimora, menestrelli che si trasferivano da una corte all'altra; armigeri in cerca di un padrone, predicatori e "flagellanti".

Fra una guerra e l'altra, intorno al 1233, si vivevano i "giorni dell'alleluia" nel corso dei quali folle di gente andavano e venivano di città in città, di paese in paese, in lunghe processioni; per sentire la parola dei predicatori, per recarsi ad un santuario, per espiare i peccati degli uomini. Si trattava di movimenti che nascevano da impulsi mistici suggeriti dal buio dei tempi, ma che trovavano presa immediata fra la gente; una gente che però, passata la folata, tornava con pari slancio alle rivalità, agli odi, alle guerre.

E tale fu il mondo che deve esser passato anche sul valico di Cassano ai tempi del Barbarossa e di Ezzelino.  

   


 

Giosuè Carducci in Rime e Ritmi (1898) "ALLA CITTÀ DI FERRARA" dedica una parte alla battaglia di Cassano del 1259.

 

Ah ponte di Cassano,
ah rive d’Adda, quanto grido corse
l’aure lombarde, allor che su’l furore
 d’Ezzelin domo

 

ringuainando placido la spada
Azzo Novello salutò con mano
la sventolante rossa croce per le
itale insegne!

D’allora un lume d’epopea corona
l’aquila d’Este; e quando ne le sale
le marchesane udian Isotta e i fieri
giovani Orlando,

 

un mesto suon di rapsodia veniva
giú d’Aquileia dal disfatto piano,
venía co ’l Po, cantatagli da’ flutti
d’Ocno e di Manto,

 

l’itala antica melodia di Maro;
e le vïole de’ trovieri a un tratto
tacean; la dama sospirava, in alto
guardava il sire.

 

 


Sull'edificio di Casa Mauri, nei pressi del ponte del Muzza è stata posta una lapide a ricordo delle battaglie di Cassano, tra cui quella del 1259.

 

 

 

 


 

(34) VERCI G.B.: STORIA DEGLI ECELINI.

(35) BURCKHARDT, J.: LA CIVILTA’ DEL RINASCIMENTO IN ITALIA.

(36) MAZZI. A.: (INVESTIGAZIONI SUL LUOGO OVE EZZELINO FU FERITO E FATTO PRIGIONIERO.

(37) MILANI DOMENICO: CRONACHE DEL BORGO E DELLA PARROCCHIA DI CASSANO.

 

Il Testamento di Taido

 

Il documento è datato 774 d.C. e rappresenta il lascito delle proprietà di Taido, cittadino di Bergamo e longobardo di nazionalità, al vescovo della città. Tra i documenti relativi ai rapporti di carattere privato è certamente il più importante e viene conservato in originale nella Civica Biblioteca della città di Bergamo.

Taido è un gasindo, cioè un consigliere e aiutante del re longobardo, ricchissimo.

Possiede i beni in Val Cavallina, in Val Camonica, nel Veronese, nel Pavese e altri sparsi per tutta l'Italia Settentrionale. Chiede espressamente che la moglie goda dell'usufrutto di tutte le sue ricchezze e nomina eredi di questi suoi possedimenti ol fratello Teuderolfo di Bergamo e diverse chiese sparse sul territorio.

Taido esprime la volontà che, dopo la sua morte e quella della moglie, il vescovo renda liberi i suoi servi e venda tutto quanto non aggiudicato per distribuire, quindi, il ricavato ai sacerdoti e ai poveri.

Interessante notare lo spirito con cui viene fatta la donazione da parte di Taido, che si preoccupa di adoperare i suoi beni presenti per garantirsi il "premio"nella vita futura.

Il gasindo longobardo rivela, infatti, fede, devozione, carità, senso di giustizia.

 

La parte del testamento che ci interessa da vicino dice:

 

"..........La Basilica del Beatissimo S. Pietro Apostolo e martire di Cristo in Bergia voglio che abbia la mia parte della casa padronale che si sa che possiedo in Bergia e Blancanuco fra la selva Vergaria e il fiume Terriola, con tanto di prati, campi e boschi, per tutta completa la mia parte, immediatamente dal giorno della mia morte, per messe e candele per me e la basilica del beatissimo confessore e sacerdote S... presso la città di Verona, dove riposa il suo santo corpo, voglio che possieda la mia parte della casa padronale entro i confini di Verona, nel luogo detto Rovereta, completamente, quindi, per la mia parte, per messe e candele per me e aiuto per la mia anima. ..........."