nato ad Onara 1194, morto a Soncino il 27 settembre 1259
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DA: I QUADERNI DEL PORTAVOCE N. 2 “IL VALICO DI CASSANO IN TERRA D’ADDA” Leone Calvi Parisetti – Michele Libutti
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Se il 1100 fu il secolo del Barbarossa, quello successivo si illumina del nome di Federico II suo nipote. Come il nonno anch'egli inseguì sogni di gloria, vagheggiando non più un impero ma uno Stato italiano unito e modellato sulla falsariga di quello normanno della madre Costanza d'Altavilla. Pur allevato all'ombra della formale protezione papale, nei confronti di Roma prese ben presto posizione, trascinando il nostro paese in un nuovo divampare di lotte fra guelfi e ghibellini. I tempi però, erano cambiati e questa volta le opposte ideologie più che servire gli interessi del Papa o dell'Imperatore, fornirono pretesto ad alleanze e scontri più apertamente di interesse individuale o locale. Tipica al riguardo fu la figura di Ezzelino III da Romano.
degli Sforza, degli Scaligeri
e degli Estensi. Potremmo addirittura dire che il suo esempio fu seguito
da successori altrettanto crudeli, cinici e privi di scrupoli, i quali,
però, riuscirono nell'intento da lui fallito, fornendo con ciò al
Machiavelli gli esemplari sui quali disegnare la figura del suo
"Principe". Nella nostra storia
troviamo Ezzelino, nel 1245, cavalcare a fianco di Enzo, figlio naturale
dell'Imperatore, alla testa di un esercito raccogliticcio di ghibellini
cremonesi, parmigiani e reggiani e diretto contro la solita ribelle
Milano. È la risposta di
Federico II alla terza scomunica lanciatagli da Innocenzo
IV
nel corso del Concilio di Lione del
medesimo anno, e la fortuna delle armi è confidata dall'Imperatore a
quattro luogotenenti: Ezzelino da Romano vicario per il territorio tra
l'Oglio e Trento, Oberto Pelavicino per quello ad ovest dell'Oglio e i
due figli naturali di Federico, Enzo re di Sardegna e Federico di
Antiochia. Partita dalla sempre
fedele Cremona, l'armata giunge in faccia a Cassano e quivi Enzo, memore
dell'espediente di Corrado di Dalmazia ai tempi del bisnonno, cerca di
aggirare il valico tentando un guado ad Albignano. Ma gli va male, per
cui ritorna su Cassano e questa volta il guado gli riesce proprio sotto
la Rocca. I milanesi
ripiegano su Gorgonzola dove, con un'improvvisa sortita, riesce a Simone
da Locarno di mettere in fuga gli imperiali. Lo stesso Enzo viene
catturato e rinchiuso nella torre. Noi lasceremo il
poveretto alla sua lunga se pur dorata prigionia e seguiremo invece il
feroce Ezzelino il quale, quasi avulso dalle declinanti fortune del suo
imperatore, conduce nella Marca Trevigiana una guerra personale. La sua
sempre più cieca furia e il suo sempre più pesante fardello di
scelleratezze alla fine gli si ritorcono contro. Prima è la scomunica
del Papa e poi, nel 1258, sono gli stessi suoi nemici che,
moltiplicandosi, decidono di metter la parola fine al suo destino. Nell'agosto di
quell'anno Ezzelino aveva posto l'assedio alla fortezza di Orzinovi che
era l'unica roccaforte del bresciano che ancora gli resisteva. I
collegati
mossero, allora, dalle loro sedi, diretti tutti verso Brescia per
impedire al tiranno il ritorno nelle sue terre: Oberto e Buoso da
Cremona, Martino della Torre da Milano, il marchese d'Este da Mantova.
Ezzelino non si lasciò sorprendere sul campo. Rimandò a Brescia la sua
fanteria e rimasto con ottomila cavalieri mosse a sua volta
fulmineamente verso Milano che sapeva sguarnita di truppe. Passato
l'Oglio a Palazzolo e l'Adda a Vaprio, e vista sfumare la possibilità
di prendere Milano, puntò su Monza, ma la città gli resistette. Allora
si buttò su Trezzo che diede alle fiamme e occupò il ponte di Cassano
per disporre di una via per la ritirata. Mentre egli perdeva tempo a
mettere a sacco la campagne di Vimercate da est giungevano gli eserciti
alleati a chiudergli ogni scampo. La battaglia si scatenò il 27
settembre proprio sul ponte di Cassano. Dopo un violento
combattimento le truppe di Ezzelino lo persero e vennero ributtate verso
Vimercate ma da quella parte a risospingerle verso l'Adda arrivarono gli
uomini del della Torre. Ezzelino ritenta allora
la via di Cassano ma è ferito e costretto a ripiegare verso Vaprio ed
era quasi riuscito a portare sulla riva sinistra del fiume tutte le sue
truppe quando su di lui piombò il marchese d'Este. I
suoi
tedeschi e bassanesi si sbandano e lui stesso, ferito nuovamente, è
costretto a cercare scampo nella fuga fra la boscaglia. Ma qualche
chilometro più in la viene circondato da un manipolo di nemici ed è lo
stesso Buoso da Doara a tirarlo già da cavallo: oramai sfinito per il
sangue perduto e disperato per la sconfitta.
A
proposito di questa ultima battaglia di Ezzelino, il Mazzi (36)
sostiene che, dopo Vaprio, egli tentò un guado in corrispondenza
di un "vacuum copiarum o caprarum" antistante Blancanuca che
lo avrebbe condotto fra le mura amiche di Treviglio lungo la "via
del bosco". E che, a mezzo il fiume, fu disarcionato da un
terribile colpo di mazza infertogli da un gigante dell'epoca di nome
Antelmo da Cova.
attendibilità
sorgeva ove oggi sono le Cascine San Pietro: una frazione di Cassano in terra
trevigliese, poco a sud del ponte. I due paesi non dovevano essere
molto lontani l'uno dall'altro giacché risulta avessero in comune una
"domusocculta", cioè un edificio fortificato. Le cronache,
inoltre, legano il nome dei due paesi al ponte di Cassano inducendo
l'idea che non ne dovessero essere molto distanti, per cui, mettendo
insieme
tutti questi dati si dovrebbe collocare Blancanuca subito al di là del
Retorto, all'inizio di quella "via del bosco" che conduceva a
Treviglio e che, come abbiamo visto, fu invano perseguita da Ezzelino in
fuga. Comunque sia andata,
dopo la cattura, Ezzelino venne condotto a Soncino; visse ancora qualche
giorno e poi l'infezione delle ferite lo condusse a morte. Si dice che egli abbia
rifiutato ogni cura dei medici e si sparse anche la voce che egli si
fosse ucciso sbattendo la testa contro i muri della prigione. Ma si
tratta verosimilmente di una delle tante leggende fiorite su quella
figura eccezionale. "Guardati, Ezzelino
— lo aveva ammonito un'indovina — dai paesi che finiscono in
"ano". Là ti aspetta la fine!" Ma anche questa fiaba
probabilmente fu raccontata dopo che si seppe della fine del tiranno
dinnanzi a Cassano. Buoso da Doara si
incaricò di far seppellire il cadavere di Ezzelino nella chiesa di San
Francesco di Soncino. Sulla lapide tombale venne scritta l'epigrafe: "In questo freddo marmo si racchiude colui che già fu il terrore dell'Italia, celebre del nome di Ezzelino da Romano, che il valore soncinese prostrò e di cui le mura di Cassano attestano la sanguinosa sconfitta".Il "valore
soncinese" naturalmente vuol essere un riconoscimento che l'autore
dell'epigrafe rivolge alla sua città; ma non furono Soncino e nemmeno
Cassano a sconfiggere il Signore da Romano. Furono in realtà le sue
stesse crudeltà e scelleratezze; la sua insensata sete di sangue
divenuta ormai una forma di pazzia o mania che dir si voglia. Come dice un antico
detto: "Dio dapprima acceca coloro che intende poi
distruggere". Come dobbiamo
immaginarci il valico di Cassano in quel lontano XIII0
secolo?
Le rive del fiume erano occupate da estesi boschi di aceri che dal
Lodigiano praticamente arrivavano fino alle porte di Bergamo dando
ricetto a lupi, cinghiali e ad una selvaggina che faceva della caccia
uno dei passatempi preferiti dai Signori. La Muzza non era stata
ancora scavata per cui sotto la ripa lombarda, fino al fiume, si
stendeva una Terra ben più sollevata e ricca di vegetazione di quanto
non lo sia oggi. L'Adda, di conseguenza fluiva ancora in un filone unico
e anche la sua larghezza e la portata delle acque di allora sono
difficilmente immaginabili ai giorni nostri. Si può averne solo una
lontana idea rifacendosi alle cronache di quei tempi, cronache nelle
quali sovente traspaiono accenni alle acque gonfie del fiume, alle
difficoltà del suo attraversamento nonché al cospicuo numero di
armati che, quando vi cadevano dentro, non avevamo scampo. Non si possiedono dati
sicuri su quella che era la Cassano del tempo. Probabilmente nulla più
che una fattoria di proprietà del Monastero di Sant'Ambrogio di
Milano circondata da poche casupole di contadini. Non si sa in base a
quali fonti ma il Milani (37) stima in circa
ottocento le anime del
posto. Anche se risulta che fin dall'epoca dell'arcivescovo Ansperto
esso era stato in qualche modo munito di fortificazioni, di un vero e
proprio Castello ancora non se ne parla e gli stessi storici dell'epoca,
Sire Raul e Ottone Morena, non ne fanno alcun cenno. Fattoria e casupole
erano arroccate sul culmine del ciglione incombente sulla Terra e la
strada che veniva da Milano correva discosto dall'abitato, in un piano
sensibilmente più basso, per poi discendere ulteriormente sulla Terra
lungo una valletta che ancora oggi si può intuire sotto la chiesa di
San Dionigi. Le strade di allora,
poco più che viottoli, andavano zigzagando per le campagne e nel folto
dei boschi, ma, pur in queste ridotte loro dimensioni vedevano il
passaggio di carri trainati da buoi, uomini a cavallo e pedoni dalle
più disparate fogge e natura. E ciò perché, in quei
tempi, quasi in reazione ai secoli precedenti che avevano visto la gente
chiusa negli abitati e le campagne deserte, ci si muoveva molto.
Popolavano le strade girovaghi senza fissa dimora, menestrelli che si
trasferivano da una corte all'altra; armigeri in cerca di un padrone,
predicatori e "flagellanti". Fra una guerra e
l'altra, intorno al 1233, si vivevano i "giorni dell'alleluia" nel corso dei quali folle di gente andavano e venivano
di città in città, di paese in paese, in lunghe processioni; per
sentire la parola dei predicatori, per recarsi ad un santuario, per
espiare i peccati degli uomini. Si trattava di movimenti che nascevano
da impulsi mistici suggeriti dal buio dei tempi, ma che trovavano presa
immediata fra la gente; una gente che però, passata la folata, tornava
con pari slancio alle rivalità, agli odi, alle guerre. E tale fu il mondo che
deve esser passato anche sul valico di Cassano ai tempi del Barbarossa
e di Ezzelino.
Giosuè Carducci in Rime e Ritmi (1898) "ALLA CITTÀ DI FERRARA" dedica una parte alla battaglia di Cassano del 1259.
Ah ponte di Cassano,
ringuainando placido la spada D’allora un lume
d’epopea corona
un
mesto suon di rapsodia veniva
l’itala
antica melodia di Maro;
Sull'edificio di Casa Mauri, nei pressi del ponte del Muzza è stata posta una lapide a ricordo delle battaglie di Cassano, tra cui quella del 1259.
(34)
VERCI G.B.: STORIA DEGLI ECELINI. (35)
BURCKHARDT, J.: LA CIVILTA’ DEL RINASCIMENTO IN ITALIA. (36)
MAZZI. A.: (INVESTIGAZIONI SUL LUOGO OVE EZZELINO FU FERITO E FATTO
PRIGIONIERO. (37) MILANI DOMENICO: CRONACHE DEL BORGO E DELLA PARROCCHIA DI CASSANO.
Il documento è datato 774 d.C. e rappresenta il lascito delle proprietà di Taido, cittadino di Bergamo e longobardo di nazionalità, al vescovo della città. Tra i documenti relativi ai rapporti di carattere privato è certamente il più importante e viene conservato in originale nella Civica Biblioteca della città di Bergamo. Taido è un gasindo, cioè un consigliere e aiutante del re longobardo, ricchissimo. Possiede i beni in Val Cavallina, in Val Camonica, nel Veronese, nel Pavese e altri sparsi per tutta l'Italia Settentrionale. Chiede espressamente che la moglie goda dell'usufrutto di tutte le sue ricchezze e nomina eredi di questi suoi possedimenti ol fratello Teuderolfo di Bergamo e diverse chiese sparse sul territorio. Taido esprime la volontà che, dopo la sua morte e quella della moglie, il vescovo renda liberi i suoi servi e venda tutto quanto non aggiudicato per distribuire, quindi, il ricavato ai sacerdoti e ai poveri. Interessante notare lo spirito con cui viene fatta la donazione da parte di Taido, che si preoccupa di adoperare i suoi beni presenti per garantirsi il "premio"nella vita futura. Il gasindo longobardo rivela, infatti, fede, devozione, carità, senso di giustizia.
La parte del testamento che ci interessa da vicino dice:
"..........La Basilica del Beatissimo S. Pietro Apostolo e martire di Cristo in Bergia voglio che abbia la mia parte della casa padronale che si sa che possiedo in Bergia e Blancanuco fra la selva Vergaria e il fiume Terriola, con tanto di prati, campi e boschi, per tutta completa la mia parte, immediatamente dal giorno della mia morte, per messe e candele per me e la basilica del beatissimo confessore e sacerdote S... presso la città di Verona, dove riposa il suo santo corpo, voglio che possieda la mia parte della casa padronale entro i confini di Verona, nel luogo detto Rovereta, completamente, quindi, per la mia parte, per messe e candele per me e aiuto per la mia anima. ..........."
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