I FIAMMINGHINI PITTORI PRIMITIVI MA "SAPOROSI"

 

I Fiamminghini fanno parte di quella schiera di pittori che si distinguono per l'estrema facilità di esecuzione, per una maniera piacevole, anche se a volte corriva, sorretta da un certo gusto per l'invenzione tenuta desta, della costante attenzione alle opere dei maggiori pittori operanti nel momento e nell'ambiente in cui essi vivono.

I due fratelli si inseriscono nell'ambiente milanese a cavallo tra il '500 ed il '600, nel momento di rottura, quando i Procaccini col Cerano e Morazzone danno avvio al graduale rivolgimento e svolgimento di forma autoctone (Gaudenzio F. Moncalvo) elaborato con l'esempio dei pittori forestieri (Barocci, Zuccari F. e T.).

Il rivolgimento avviene massimamente per opera di personalità di notevole levatura quali gli artisti citati; i Fiamminghini, invece, ci appaiono come piacevoli narratori, ma non innovatori.

Con la loro febbrile attività costituiscono il necessario tramite, come i portavoce della riforma cattolica che San Carlo prima e Federico Borromeo poi, iniziano e favoriscono entro i confini della diocesi di Milano e nei più lontani centri; artefici primi e primi testimoni di quel gusto pittorico che, in parte voluto, in parte cresciuto per forza di artisti di maggior levatura, l'ambiente milanese produce nel volgere di pochi decenni.

La festevolezza di alcune scene, la piacevole gamma di certi toni, la "maniera" facilmente riconoscibile dei due, attestano palesi i limiti di una cultura esclusivamente composita. Tuttavia, facendoli rientrare nel gruppo dei minori, dobbiamo riconoscere loro un'efficacia ed una personalità che li classifica ai primi posti di quella categoria di pittori estremamente interessanti, perchè valida a testimoniarci le direzioni culturali, le componenti cioè di un ambiente saturo di idee, di fermenti, di artisti, quale fu quello milanese tra la fine del '500 ed i primi decenni del '600.

Scrive il Dell'Acqua: "Allo stato attuale degli studi e dati anche i frequenti rapporti di collaborazione fra i due, non è certo facile discriminare «le mani» o precisare un eventuale svolgimento stilistico nella congerie di opere che vanno sotto la generica insegna dei Fiamminghini".

 

GIOVANNI BATTISTA DELLA ROVERE

 

È il maggiore dei fratelli soprannominati Fiamminghini: è la figura che, allo stato attuale degli studi, rimane meno nota e più difficile da caratterizzare, non solo per la scarsità di documenti, ma anche per lo scarso numero di opere che sono giunte fino a noi compiute da lui solo.

Poco si sa della vita del pittore, e quel poco si può dedurre dalla letteratura artistica, a lui contemporanea e posteriore, e dalla descrizione della città di Milano.

Figlio di Giovanni detto Emes, nato ad Anversa nel 1533 e fratello di Giovanni Mauro, nasce a Milano nel 1561. Detto Fiamminghino, dal padre proveniente dalle Fiandre. La sua formazione artistica avviene a contatto con l'ambiente pittorico milanese della seconda metà del '500: ambiente artisticamente povero, dove la tradizione locale, non avendo artisti tali da poter rinnovare le glorie della pittura lombarda degli inizi del secolo, viene sommersa dalla più ampia produzione di pittori immigrati nel milanese che riportano ad una cultura lombarda solo per ragioni geografiche e che diffonde la tradizione dell'Italia centrale e dell'Emilia nel milanese. Al suo tempo Giovanni Battista, come il fratello Giovanni Mauro, fu molto lodato e ricercato. La sua opera inizia nel 1579 con un disegno conservato a Londra, che rappresenta la Crocefissione ed è firmato.

Il lavoro dei due fratelli è intenso. L'Orlandi scrive: "Non vi è angolo, chiesa, o palagio, nei quali non si ritrovano pennellature di Fiamminghini". Lo stesso scrive il Lanzi: "Ne restano non solo lavori a fresco, ma inoltre quadri a olio d'istorie, di battaglie, di prospettive, di paesi quasi in ogni angolo della città.

Nel 1593 lavora a Milano in Santa Maria della Passione; nel 1595 in Duomo per l'ingresso del Card. Borromeo.

Dopo il lavoro dei quadri del Duomo la fama dei Fiamminghini si diffonde ed i fratelli sono invitati per lavori in molte chiese di Milano.

Dal 1608 al 1615 i due fratelli lavorano al S. Monte d'Orta. Sulla fine del '500 avevano già lavorato al S. Monte di Varallo e nel 1615 lavorano all' abbazia di Chiaravalle.

Dopo il 1615 più nessuna notizia di Giovanni Battista. Non si sa la data della sua morte.

L'unica sua opera firmata e datata è nel Duomo di Monza, gli affreschi delle storie di Giovanni Battista del 1586. Opera giovanile: manierismo involuto non bene assimilato che gli toglie la possibilità di effondere le sue modeste qualità. Risente di Giulio Romano, Camillo Procaccini, Lomazzo, cioè del michelangiolismo diffuso in Italia settentrionale. Figure corpose e sproporzionate, disegno approssimativo, drappeggio involuto e grossolano dei manti, scene stipate di personaggi, mancanza di simmetria fra le parti della composizione, colori stesi a grandi piani con poche variazioni ci dicono una personalità pittorica modesta; è innamorato del suo mestiere e dipinge con facilità.

Questo stile non si ripete più, ma si muta totalmente evolvendosi verso un modo di comporre sempre più severo, verso un ostentato verticalismo delle figure, verso figure dal gusto quasi arcaico, i panneggi stirati, la gamma coloristica fredda. Così sono gli affreschi in S. Dionigi che richiamano per lo stile quelli di S. Calimero in Milano, nella cripta sotto l'altar maggiore. Il paesaggio sfumato con delicatezza di gamma coloristica è mosso e vario ed in esso tante piccole scene (così nell'affresco della Resurrezione di S. Dionigi in Cassano d'Adda vi è il paesaggio col castello - dal vero - e con le scene di sfondo).

 

 

Resurrezione di S. Dionigi

 

GIOVAN MAURO DELLA ROVERE

 

È figlio secondogenito di Giovanni della Rovere.

Giovanni Mauro nasce a Milano nel 1575. Una riprova di ciò si ha dagli stati d'anime della parrocchia di S. Pietro all'Orto di Milano, da cui si deduce che Giovan Mauro, non ancora sposato, nel 1610 viveva col fratello Giovan Battista ed aveva l'età di 35 anni. Si sa che fu, col fratello, primo scolaro di Camillo Procaccini e poi seguace di Giulio Cesare Procaccini. Ebbe «la fervida immaginazione ed il grande talento congiunti a gran facilità d'esecuzione» (Orlandi). La sua attività è documentata negli anni che elenchiamo:

1599: è a Cassano d'Adda col fratello per S. Dionigi. Al S. Monte di Varallo ancora col fratello; 1626: il Cardinale Federico Borromeo gli affida l'esecuzione della Cena del Leonardo; 1628: a Groppello d'Adda. E molti altri che qui non riportiamo.

Sarebbe morto nel 1640 e sepolto nell'oratorio di S. Cipriano a Milano (Orlandi).

Scrive l'Orlandi che se "avesse fermato quello spiritoso mercurio che gli faceva volare il pennello, per certo l'opere sue avrebbero toccato le mete della gloria".

Dice il Lanzi: "Abbondava di quel fuoco che usato con giudizio dà l'anima alle pitture, abusato ne scompone la simmetria. Rare volte ma pur talora lo temperò".

Ed il Malvezzi dice: "Dotato di fervida immaginazione e di gran talento congiunti a gran facilità di esecuzione, eseguì una quantità incredibile di opere all'olio ed a fresco. Però non tutte sono stimatissime perchè alcune o non sono ben pensate o troppo frettolosamente eseguite".

G.A. Dell' Acqua di lui aggiunge: "Pittore di pratica, speditissimo quanto superficiale frescante, dall'onesto mestiere e dalla facilità inventiva buona per le diverse occasioni iconografiche, del comporre scontato, solo a tratti ispirato in qualche spiritoso guizzo di maniera, dai maggiori maestri locali e, soprattutto da Gaudenzio Ferrari".

 

MARCO DELLA ROVERE

 

La figura evanescente di Marco, fratello dei due pittori, è da pochissimi autori conosciuta. Di Marco non si conosce nessuna opera né sicura né attribuita: egli è solo un mediocre aiutante.

 

da i quaderni del Portavoce di Carlo Valli

 

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