La diga del Retorto di Cassano d'Adda - foto di R. Siesa

 

La diga del Retorto venne progettata nei primi anni del ‘900 per alimentare il canale del Retorto, testimoniato già nel XV secolo, al quale si stava sottraendo acqua per via della costruzione della centrale Rusca.

 

La centrale Pietro Rusca di Cassano d'Adda - foto di R. Siesa

 

Il Retorto irriga, insieme alle rogge trevigliesi, la cosiddetta Isola cremasca, un lembo di terra compreso tra i fiumi Adda e Serio attraverso due ulteriori derivazioni, la roggia Cremasca (64 bocchelli in uscita, circa 36 km di percorso) e la roggia Pandina, più breve che termina la propria corsa tra Pandino e Dovera. I diritti di colo del Retorto rientrano nell’Adda a Moscazzano,

 

 

Nel 1927, quando venne inaugurata la centrale elettrica costruita per alimentare l’attiguo sito produttivo del Linificio Canapificio Nazionale, si poneva il problema di ridare acqua al corso principale dell’Adda per alimentare il Retorto. Si era infatti scavato un canale a monte della centrale in prossimità della chiesetta di S. Antonio a Groppello, attraverso il quale si convogliano 156 mc/s d’acqua dell’Adda per alimentare la Centrale Rusca.

 

La diga di Groppello - nell'angolo destro della fotografia, il canale di carico della Centrale Rusca - foto di R. Siesa

 

 

 

l'invaso di carico della Centrale Rusca - foto di R. Siesa

 

 

Per ridare i 21 mc/s di spettanza del Retorto venne scavato un fosso che alimentasse il canale stesso: questo fosso, uscente dalla centrale giungeva in prossimità dell’alveo originario dell’Adda in sponda orografica destra, mentre l’attacco del canale Retorto è in sponda sinistra. Per permettere dunque all’acqua di poter defluire e incanalarsi nel Retorto si rese necessario uno sbarramento, ottenuto mediante diga Poiret.

 

 

il canale che esce dalla centrale Rusca - foto di R. Siesa

 

La prima diga infatti prevedeva due paratoie alle estremità, dette “scarico di fondo”, tuttora in parte presenti, mentre i 100 mt centrali erano occupati da cavalletti equidistanti 2,5 mt l’uno dall’altro, alti 2 mt circa: al di sopra dei cavalletti una passerella e davanti una serie di palconcelli in legno, tipici della diga cosiddetta Poiret. La quota di fondo, l’alveo è a  114.50 metri sul livello del mare più due metri di invaso, l’altezza delle paratoie è 2 mt. La centrale Rusca l’hanno fatta pensando alla portata media giornaliera dell’Adda così che la centrale funziona a  pieno regime con 156 mc/s tutto il giorno: sei sono le turbine (in origine forgiate nelle officine della Franco Tosi con alternatori Ansaldo) sul Muzza con salto di 9 mt circa, 2 in ordine decrescente per i 21 mc del Retorto, una da 14 e una da 7 mc (se c’è penuria d’acqua allora c’è meno portata nel canale e si utilizza solo una roggia alternativamente tra la Pandina e la Cremasca).

Nel 1961 ci si rese conto che le manovre per liberare i palconcelli dalla loro sede in caso di piena erano oltremodo pericolose (i deflussi possono giungere fino a 1600/2000 mc/s, Brembo compreso e molto variabile da 20 mc/s a 700 mc/s): inoltre la manovalanza che si prestava a tale compito, proveniente dalle cascine poste nei pressi della diga e chiamata a voce in caso di bisogno, era sempre più scarsa. L’operazione di sbrigliamento della diga prevedeva di scendere, mediante apposite scale (i cui segni sono ancora visibili oggi sui piloni estremi dell’attuale manufatto) sulla passarella, sbloccare i palconcelli, sfilarli e riporli su barca, comunque al di fuori della diga stessa. L’operazione avveniva sia di giorno che di notte per la presenza di lampade sui frontoni dei piloni principali che illuminavano la passerella dove camminare: una persona toglieva i palconcelli uno alla volta e uno li faceva strisciare lungo la passerella agli aiutanti per portarli fuori (l’altezza di ogni palconcello era di 2,70 mt mentre l’invaso è circa 2 mt).

Durante l’estate la diga è chiusa: infatti da Olginate escono nell’Adda per l’irrigazione circa 200 mc/s, che vanno sottratti delle derivazioni (il Martesana, 30 mc/s; la roggia Vailata,  che origina dal ponte di Canonica passando poi per la zona del Linificio di Fara Gera d’Adda, ora attinta peraltro da Paderno, attraverso la roggia dell’alta e media pianura bergamasca). Dalla centrale Rusca passano in media circa 156 mc/s, 100 destinati al Muzza, 35 al Canale Vacchelli che deriva dall’Adda in sponda sinistra in comune di Spino d’Adda, 21 per il Retorto. Questa partizione fu all’origine di diverse contese tra Lodigiani e Cremaschi per il possesso e la gestione delle acque dell’Adda ai fini irrigui prima della fondazione del consorzio dell’Adda nato nei primi decenni del XX secolo.

La chiusa ai giorni nostri è alquanto pericolosa: il verde boschivo non più gestito e gli l’alberi d’alto fusto rovinano le sponde. La diga traversa infatti prevede che rami, tronchi o latro si fermi sui piloni impedendo il deflusso regolare dell’acqua: in alternativa si potrebbe curare la vegetazione (es. alto fusto sulla ripa, arbusto sulla ripa).

Le dighe più a monte hanno situazione più favorevole, avendo un invaso di almeno 6 m, con rialzo in calcestruzzo: su di esso là dove appoggiavano le poiret sono stati fatti scassi con meccanismi meccanici per far alloggiare nuovi sistemi che si alzano automaticamente, senza l’intervento dell’uomo. In questo caso invece l’invaso è di soli 2 mt ed essendo sull’alveo del fiume non c’è possibilità di alloggiare meccanismi. Come alternativa si è pensato a contenitori tubulari in telo spalmato da collocare nei pressi degli attuali piloni che da 19 diventerebbero 2 o 3 ad altezza di 2/3 mt dal letto del fiume (ora siamo sui 7 mt): gonfiando o sgonfiando di acqua o aria questi contenitori posti sotto la paratoia, essa si alza o si abbassa.

Un altro fenomeno è quello dello scorrimento della ghiaia che, dopo le rapide pedemontane, giunta qui, si ferma e crea depositi consistenti e pericolosi: in prossimità della diga a monte un tempo scendeva un cavo portante sul fiume con una benna che spostava i sassi e li sbriciolava per produrre materiale da costruzione. Oggigiorno andrebbe tolta o per laminazione o, essendo a monte, anche per escavazione perché non è pericoloso per il manufatto. A valle invece è opportuno mantenere l’alveo pieno di ghiaia per evitare sifonamento: per sovrappressione sull’alveo l’acqua può filtrare sotto il manufatto, creando fontanazzi che sono pericolosi la diga.

 

un deposito di ghiaia nel fiume - foto di R. Siesa