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Luigi
Illica (Castell'Arquato,
1857 -
Colombarone, Piacenza,
1919) scrittore,
drammaturgo, poeta di teatro: bel tipo di moschettiere tutto sùbiti
impulsi e pronti sdegni, aperto e generoso nell'amicizia quanto
mordente e temporalesco nell’ avversione. A lasciar di sé una
verosimile immagine, nei momenti di inalberata effusione, provvide
cogliendosi a modello del suo « Capitan Spaventa» nelle Maschere.
Quanta parte avesse avuto nella sua formazione quella vivacità neppur
in frenata nelle altitudini dell'uomo maturo, lo si intuisce
dall'inquietudine dei suoi proponimenti letterari. Gli aveva precluso i
collegi di Piacenza e Cremona, dove suoi studi erano avviati, e
prospettato il miraggio d'una libera adolescenza. Ma non gli erano valse
a trovare equilibrio le emozioni della vita dì mare intrapresa per
ingiunzione patema e per qualche anno durata tornandone tutt'altro che
domato; onde al genitore non restò che l'estremo rimedio del relegarlo
in un proprio possedimento piacentino. Colà l’Illica scoprì le
proprie vene liriche e drammatiche. Lo scenario del nativo borgo
medioevale sul colle preappenninico caricò suggestioni naturali storiche
ed artistiche può ben far intendere le misteriose ragioni per le quali
questa materia lirica veniva disponendosi nel futuro uomo di teatro in
visioni dì scenica architettura. Ma l'esilio durò poco. L'intravista
vocazione delle lettere gli aperse la strada verso Milano a tentarvi la
propria affermazione (1880). Se
il profilo dell’Illica non fosse ancora da tracciare, risulterebbe
sempre meglio evidente, sullo scorcio degli ultimi due decenni dell'800,
l'effettivo valore della sua presenza e il « peso » del suo apporto al
fervore intellettuale che accompagnò il rinnovamento letterario
operatosi intorno a quegli anni. Una particolare funzione, inoltre, che
diremmo catalitica nel senso d'attrarre, o d'essere egli intermediario
tra uomini e ambienti anche lontani e diversi, gli sarebbe stata senza
dubbio riconosciuta come risultanza del suo eclettismo, della sua ansia
dì incontri e di scambi da ricercarsi oltre l'ambito di un gusto comune,
o di una scuola, o magari di una regione, come dire al dì là dì quel
certo provincialismo superstite nella cultura italiana del tempo.
Basterebbe sottolineare il fatto che tra l'ambiente dei lombardi che
aveva per suo centro d'animazione e di raccolta Milano, dove se
sopravvivevano entusiasmi e lieviti della scapigliatura, proprio uno dei
suoi più tardi compartecipi, Ferdinando Fontana, propugnava in polemica
con Leone Fortis l'anticipatore del verismo lombardo del Ghislanzoni,
dell'Arrighi, del Tronconi; e l’ambiente bolognese degli eruditi, dei
classicisti, dei burloni che attorno al Carducci e
al Guerrini facevano chiassi letterari e amministravano rinomanze e
successi,
forse a scapito degli ambrosiani; il piacentino Illica, seppur
giovanissimo, veniva riconosciuto propiziatore di ambascerie e di
alleanze, mediatore e propulse d'energie e di valori. La formazione
medesima dell'artista Illica risentì di quest’aspirazione alle
aperture modernistiche del naturalismo.
Un naturalismo
piuttosto inteso nelle forme che veniva assumendo da noi, per quel dato
ancora polemico d'aggiornamento dell'arte con la vita, che non sulle
suggestioni dei modelli letterari d'oltralpe. Ammise più tardi,
discorrendone con l'Ojetti, che non approvava la pittura zoliana del
vero, pur apprezzandone la portata sociale. Questo da un lato; e
dall'altro bisogna dire che sembrava non essersi sottratto al gusto di
certe sottigliezze filologiche, al metodo e alla pratica carducciana
dell'indagine storica, alla passione culturale e persino a certe vaghe
ma incalzanti curiosità etnologiche
ed etnografiche.
Ne risultava infine
una felicissima commistione
dì elementi vivaci, che fermentavano proficuamente nel suo fondo
romantico. Aveva fatto le prime armi nel giornalismo come cronista del Corriere
della Sera alle dirette dipendenze
di Raffaello Barbiera, ed era naturale in lui il consentimento, e la
simpatia, per gli uomini più rappresentativi delle arti e delle lettere
locali; neppur estraneo rimanendo agli interessi politici suscitati
dalla discussione sociale allora in pieno fervore. Tanto che nell'81 si
trasferiva a Bologna per fondarvi, in società con Luigi Lodi e l'avv.
Barbanti-Brodano (difensore di Andrea Costa nel recente processo degli
internazionalisti), il Don Chisciotte,
organo quotidiano della democrazia ultraradicale a fondo repubblicano,
al quale sostegno e ispirazione doveva venire dal Carducci che
dell'Illica divenne amico paterno e maestro ideale, una volta persino
assistendolo come padrino in un duello che gli costò la perdita di
mezzo orecchio. Si ritrova l'Illica a Milano nell'82, quando dà fuori una raccolta di
bozzetti, Farfalle (effetti
di luce), e per conto dell'Arte drammatica
redige una strenna in forma di gustosa miscellanea, gli Intermezzi
drammatici. Vi si potevano
intendere chiari i preannunci di quella che sarebbe stata l'azione
novatrice dell'Illica nell’ambito del teatro drammatico e, di
conseguenza, in quello musicale; ma soprattutto già vi si trovavano
indicati i caratteri del suo ingegno critico e satirico, gli stessi per
i quali E.A. Butti affermava essersi egli dato a fare l'Aristofane del
suo tempo. Gli Intermezzi rifanno il verso ad autori, attori, critici attardati sul passato.
L'acuta parodia non risparmia punzecchiature al futuro amico e
collaboratore
Giuseppe Giacosa, definito « poeta prediletto alle educande innamorate
e ai collegiali idealisti». Col drammaturgo di Parella, venuto a
stabilirsi a Milano nel 1888, dovettero però presto avere corso
cordiali rapporti malgrado quegli ormai superati dissensi. La polemica
sollevatagli attorno dal Carducci, che l'Illica riecheggiava, era
stata parimenti dimenticata nelle dirette relazioni tra i due letterati.
L'evoluzione del Giacosa, il suo proficuo essersi messo al passo con le
correnti del naturalismo, la sua avvenuta conversione alla fede
dell'arte per l'arte rappresentavano tra ì due prossimi collaboratori
un punto di incontro se non a metà strada, per lo meno lungo una
medesima direzione. Certo il Giacosa apparteneva ad un ambiente
borghese e salottiero (tale l'usanza dei letterati titrés),
ma era pure artista coscienzioso e uomo di molta generosità che ben
doveva aver compreso trovarsi di fronte ad un contraddittore monellesco
capace di intuizioni sottili per l'indubbia genialità. Appunto il
Giacosa, interpellato in uno con l'amico Boito da Alfredo Catalani in
merito all'orditura scenica del libretto di Wally
approntatogli dall'Illica sul principio dell'89, diede pel primo parere
ammirativo. Ed ancor prima che i loro nomi venissero associati per la
collaborazione intorno ai libretti, proprio dal piacentino era partita
l'idea della riduzione di un lavoro giacosiano per la scena dialettale
milanese da offrire alla Compagnia di Sbodio e Carnaghi, ai primi
d'estate del 1891. «Mandami il copione e vedrò quale effetto mi fanno
le tue innovazioni — gli scriveva Giacosa il 26 giugno. — A priori,
a giudicare dalla tua lettera, la cosa non mi dispiace... ». Tornando agli Intermezzi,
tanta attenzione pel teatro e tanta conoscenza delle sue questioni
avrebbero potuto con ragione far presagire che l'estensore di quelle
pagine
si sarebbe deciso a sperimentar presto sulla scena gli effetti della
salutare sua effervescenza. Un primo dramma, al quale venne apposto il
binomio Illica-Fontana, I Narbonnerie
La Tour (Milano, Teatro
Manzoni, 1883) fece concordemente ammettere l'eccezionalità
dell'avvenimento artistico. Una volta impostasi, la personalità dell'Illica costruttore teatrale si
era venuta delineando e chiarendo attraverso una cospicua produzione
in lingua e in dialetto. Oltre ai Narbonnerie, Il conte Marcello
Bernieri, dramma in 4 atti
(Milano, Teatro Manzoni, 1883); La signora Leo Pascal,
commedia in 5 atti (Milano, Teatro Manzoni, 1884); Herik Arpad Tekeli,
commedia in 5 atti (Milano, Teatro Manzoni, 1884); Gli ibridi, dramma in 4 atti (Milano, Teatro Filodrammatici, 1886); Gli ultimi
templari, dramma in 5 atti
(Milano, Teatro Filodrammatici, 1886); Dramma e melodramma,
commedia in 4 atti — in collab. con G. Rovetta —(Milano, Teatro
Filodrammatici, 1887); I diritti dell'amore,
commedia in 4 atti (Milano, Teatro Filodrammatici,
1888); La
sottoprefettura di Roganecca,
satira i 4 atti (Milano, Teatro Filodrammatici, 1890): L'ereditaa
del Felis, dramma in dialetto milanese, 3 atti
(Milano, Teatro Filodrammatici, 1891):
L'anima di un alter,
commedia dialettale milanese
in 3 atti
(Milano, Teatro
Filodrammatici, 1892) Questo teatro illichiano rivestiva di una
favola contemporanea l'insistito didascalismo morale e sociale che
affiorava dietro la satira tutt'altro che scherzosa e bonaria, talché
poteva accadere che l'intera platea si rivoltasse contro l'autore in
clamoroso dissenso. Più effervescente che vitale, se dissolveva la
propria carica artistica nel tentativo di svecchiare un repertorio e
sommuovere un gusto, era però servito all'animoso drammaturgo per
arrivar d'improvviso a produrre un autentico capolavoro, L'ereditaa
del Felis, che anticipava in sede
e tempo di naturalismo francese e di verismo italiano i postulati
ibseniani sulla teoria dell'ereditarietà culminati negli Spettri.
Quanto alle prime esperienze melodrammatiche; a voler credere a Giovanni
Tebaldini l'illustre musicologo amico dell'Illica, esse cominciarono
intorno al 1887, quando egli approntò il libretto di una Fantasia
araba che divenne poi La fonte
d’Enscir musicata
da Franco Alfano. L’anno successivo Illica approntava in
collaborazione con Francesco Pozza un libretto per Antonio Smareglia, Il
vassallo di Szigeth. Fra l'88 e
l'89 c'era poi stata la richiesta da parte del Catalani dì un libretto
da ricavarsi dal romanzo della Von Hillern, Wally dell'Avvoltoio,
comparso nelle appendici
della Perseveranza. E ancora
nell'89 la designazione ad ideare un dramma intorno all'epopea di
Cristoforo Colombo per la musica di Alberto Franchetti, invitato
a comporre un’opera nell'occasione delle imminenti celebrazioni
colombiane {1892). A schiudere all’Illica le porte di Casa Ricordi era stato il Catalani
allorché le avevano ceduto Wally.
Ma per certo cordiali rapporti dovevano sussistere tra l' Illica e
Giulio Ricordi: lo conferma
il fatto che tanto Tebaldini che Smareglia sollecitarono qualche tempo
prima un suo intervento in loro favore presso di lui. Anche con Giacomo
Puccini, collaboratore
dell'amico suo Fontana e
concittadino del Catalani.
compagnone piacevole e gaio, dovevan correre rapporti di simpatia e di
cameratismo pur se, per un riguardo al Fontana, ancora non sì era fatta
parola di lavoro da svolgere assieme. E’ però un fatto che proprio
Ferdinando Fontana aveva avuto l'idea
di un libretto da ricavarsi dalla Tosca
di Sardou, e che pel primo ne aveva scritto all'autore
chiedendo l'autorizzazione
necessaria (cfr. Luigi Illica Mica
e Ferdinando Fontana a cura di M. Morini ed E. Guicciardi in Martinella
di Milano, fase II anno XII): e poiché risulta che Giulio Ricordi
intorno ai primi del ‘91 aveva impegnato
l' Illica alla riduzione di Tosca
a libretto, da approntarsi per l’ispirazione pucciniana quando le
molte difficoltà sollevate circa il primitivo scenario di Manon
Lescaut minacciavano averla
irrimediabilmente scemata, si potrebbe pensare che dal Fontana medesimo
fosse partita la proposta di associarsi il piacentino come
collaboratore. Affermabile o no questa circostanza, è in seguito a quel
progetto di una Tosca rimessa
a miglior tempo (e più in là ripensata ed elaborata per il Franchetti)
che Luigi Illica venne indotto a considerare la proposta del Ricordi di
pensar lui al rifacimento di Manon,
affidata pel momento a Giuseppe Giacosa nella speranza — già delusa
— che questi riassestasse secondo le esigenze puccinìane il gracile
libretto di Marco Praga e Domenico Oliva per non dir degli altri che vi
avevano messo mano. Può darsi, in effetti, che l'offerta del Ricordi fosse confortata dal
suggerimento dello stesso Giacosa (così affermano l’Adami e il
Fraccaroli), il quale avrebbe indicato l’Illica come il più idoneo a
tale compito; ma non v’ha documento epistolare
che lo comprovi. Certe sono invece le reticenze iniziali
dell’Illica, il quale riteneva indelicato sovrapporsi ai due colleghi,
al punto che per deciderlo a dir di sì lo si dovette accontentare
mostrandogli la richiesta lettera di autorizzazione a firma dell’Oliva
e del Praga. La pubblicazione dell’inedito carteggio
Puccini-Illica-Ricordi si deve alle amorevoli disposizioni, anche
testimonianze, della vedova Illica, scomparsa tre anni addietro, che ha
voluto preservate dalla dispersione ed affidate alle nostre cure le
carte del librettista, donando l’intero <<corpus>>
documentario alla civica biblioteca Passerini Landi di Piacenza. Lo
integrano lettere e documenti raccolti presso privati possessori e
conservati negli archivi di Casa Ricordi – (m.m).
Tratto da: Carteggi Pucciniani a cura di Eugenio Gara - Ricordi
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