UNA GIORNATA IN CAMPAGNA 

Negli anni cinquanta e sessanta la maggior parte degli abitanti di Cassano erano ancora dediti all’agricoltura. Io avevo degli zii che erano contadini “fasivan al paisà” e abitavano in cascina; la cascina Roncella.

Durante il periodo estivo, ogni tanto, mia mamma portava me e i miei fratelli in cascina, qui si passava la giornata con gli zii ed i cugini lavorando in campagna e nelle stalle. La vita in una cascina cominciava al canto del gallo e terminava al calar del sole.

Non c’era né sabato, né domenica; il lavoro si svolgeva durante i sette giorni della settimana; solo un intervallo per la messa della domenica,  per un bicchiere di vino all’osteria mentre si scambiavano quattro parole con gli amici. 

Era una vita dura, il lavoro era molto faticosi perché non c’erano le macchine agricole moderne per lavorare la terra; il tutto avveniva con la forza delle braccia dell’uomo e degli animali che in campagna erano indispensabili.

I segni della fatica erano evidenti sui volti dei contadini, che a quaranta anni, sembravano vecchi di ottanta. Solo durante l’inverno il lavoro era limitato nelle stalle perché la campagna dormiva sotto una coltre di neve che in quegli anni era sempre abbondante e durava tutto l’inverno.

 

In questo brano viene descritta la vita tipica di una giornata in campagna, intercalata da versetti in dialetto cassanese che meglio descrivono e avvicinano alla vita di allora.

 

Al gàll a la cantà e  adreée gh’en dà la gaina,

sveglìss bagài ca l’è giumò matina.  

 

La sveglia del mattino è il canto del gallo, seguito poi da quello di tutto il pollaio.

 

Al suu al see levà, ghè i vacc ‘n dala stala ,

ca in da regulà.  

 

Il sole è spuntato, il primo lavoro del contadino è quello di mungere le mucche. Nelle stalle incominciano a sentirsi i primi muggiti.

 

‘ndal gir da cinc minoeutt, toeuc in in pé,

la giurnada dal paisà, a la cumencia inscé.

 

Nel giro di pochi minuti, la vita della cascina riprende dal torpore della notte. Si aprono le ante delle  finestre, si accendono le luci delle stanze, si sentono le voci del padre che dà le prime disposizioni alla moglie e da questa ai figli.

La gerarchia famigliare è molto presente nelle famiglie dei contadini dove il padre è l’unico a prendere tutte le decisioni della famiglia, dove la moglie è l’interprete degli ordini del marito che a sua volta demanda ai figli, ognuno secondo il proprio ruolo e compito.

 

Un poo de acqua fregia per desedàa ‘l cervèl,

po’ toeuch ‘ndala stala con ‘n maa al sidèl,

'n dal pulee a daga da mangià ai gaen,

e con cesten a regüià i oeuf e cuntrulà i purasen,

e i tusèt ca podan no amò laurà,

gan i picinen da vardà

.

 

 

I maschi nella stalla a mungere le mucche, a togliere il letame, a caricare di fieno le mangiatoie; le femmine ai lavori domestici, nel pollaio a dar da mangiare ai polli, a prendere le uova e a guardare che tutti i pulcini siano vivi; le bambine, che non possono ancora fare i lavori pesanti, devono curare i bambini piccoli, affinché a loro non manchi niente.

 

 

 

 e dopu ch’an mungiü la fam sa fa senté,

con una tàsa de  lach fresck,  ‘n scé ‘l cumencia ‘l dé.

‘Na fèeta de pulènta, con una scűdela de lacch,

sa ta va bé l’è ‘nscé, mangià, surit e tàas.

Na tasina de cafè preparà con l’acqua con  al funt,

bagai credim a mé l’era no la fén dal munt.  

 

 

Dopo la mungitura, tutti ritornano alle loro case, dove le mogli hanno preparato la prima colazione a base di latte fresco appena munto con una fetta di polenta del giorno prima oppure con il pane giallo di crusca; una tazzina di caffè ricavata dalla bollitura dell’acqua con i fondi di miscela di caffè olandese  e orzo, utilizzata la sera prima; nei casi più estremi con l’acqua colorata di marrone della increspatura del pentolone “stegnàa” della polenta, con l’aggiunta di un cucchiaio di zucchero. 

 

 

Adès in dèm a foeura, ca ghè al fée da vultà,

con al baston in ma, a a giral de ché e  de là.

 

Il giorno prima lo zio con i cugini avevano tagliato l’erba con la falce “ranza” e l’avevano disposta al sole per seccare e far diventare fieno; tutta la famiglia, bambini compresi, hanno il compito di girare il fieno, con un bastone perché il sole possa asciugarlo e renderlo omogeneo.

Verso le ore undici le donne ritornano a casa per preparare il pranzo affinché gli uomini al ritorno dalla campagna possano trovare tutto pronto.

 

Ciapa ‘l sidèl, corr a impiendél a la tromba,

per cavà l’ acqua bisogna fa ‘ndà la pompa.

L’acqua l’è bèla fresca da béf,

e con un casűlèt sa scoeut la set.  

 

La prima cosa da fare è quella di cavare l’acqua dal pozzo; con l’ausilio di una pompa, manovrata a mano, si riempie il secchio di acqua fresca e limpida da fare invidia alle migliori acque minerali di oggi. Naturalmente è d’obbligo berne un mestolo che scende in gola e ti soddisfa la sete.

 

In cà la rigiura l’impisa ‘l camén,

anca per incoeu sa fa un pulentén.

Con la canèla dala pulenta la mèna da ché, po’ la gira de là,

per vès buna la pulènta la ga nò da fa i frà.

 

 

 

 

Nel frattempo la zia ha acceso il camino per mettere a cuocere la polenta. Infatti, tutti i giorni sono buoni per cucinare la polenta con la farina ottenuta dalla macina del granoturco  coltivato nei loro campi. La polenta è il principale sostentamento della famiglia contadina.

I movimenti che si vedono fare tutti i giorni sono sempre gli stessi: riempire il paiolo di acqua fresca del pozzo, appendere il secchio al gancio sotto le stoviglie, appendere il paiolo al gancio del camino, aggiungere la farina gialla, mescolare la farina con la “canèla”. Questa operazione non è così semplice, ci vuole pazienza e forza di braccia e modo di fare; la farina deve essere ben distribuita in modo uniforme da evitare la formazione dei grumoli i cosiddetti “frà”.

 

Da luntaa la campana la suna i ur,

scciati, prepari al taul ca riva ‘l rigiù.

L’è mesdé giost e lű l’è rivà,

a capu taula  ‘l se setà.  

 

Da lontano arrivano i rintocchi della campana che indicano che è mezzogiorno. La zia si rivolge alle figlie affinché si affrettino a preparare la tavola perché il padre sta per arrivare, la tavola deve essere pronta, non lo si deve fare aspettare. Detto fatto, lo zio arriva, si guarda intorno per sincerarsi che tutto sia a posto e prende il posto a capotavola, posto che gli spetta di diritto. Alla sua destra e alla sua sinistra i maschi maggiori e poi tutto il resto della famiglia.

 

Col buteglion dal vén davanti a lű,

al vén  a  l’è sultant per al rigiù.

‘L taja la pulènta, lű ‘l fa i pursiòn de strachén,

chi tant e chi da menű ugnoeun g’ha ‘l soo fetén.

‘Na michèta de salam e vűna col jambòn,

gan vedum poeu da la fàm e fiada poeu nisoeugn.  

 

 

 

Il padre ha il bottiglione di vino davanti a se; solo lui ha il diritto di bere vino, per gli altri l’acqua fresca o acqua preparata in bottiglia con le polveri di viscì. Mi sono molto stupito di questo, perché nella mia famiglia il vino era per tutti. Più tardi alla morte del padre, sarà il figlio maggiore a sedere a capotavola e ad avere i diritti da lui lasciati. Un’altra cosa che ho notato è che i figli e perfino la moglie, davano dei voi “vű”al padre e al marito in segno di grande rispetto. Il padre fa le porzioni, di polenta, di stracchino, in base all’età a al lavoro svolto. Poi il pane con salame nostrano fatto in casa e fette di mortadella “bulugna”. Tutti mangiano con appetito, non fiata nessuno. Alla fine del pranzo il padre da le disposizioni alla moglie per il pomeriggio.

 

E dopu avè mangià, toeuch ‘i hom a ripusà,

e suta ‘l sbaton dal suu, i tusan van al fòs a lavà.  

 

Dopo aver consumato il pranzo frugale preparato dalle donne, gli uomini vanno a letto per il riposo meridiano. Le ragazze caricano secchi e mastelli sulla cariola e sotto il sole cocente vanno al fosso a fare il bucato e poi stendono la biancheria appena lavata. I bambini piccoli vengono messi a letto mentre i più grandi vanno a giocare dietro nei campi, per non disturbare  gli uomini che dormono. 

 

 

 

 

Fin ai cincur toeuch ‘ndal trée,

per caricà ‘l carèt dal fée.

La giurnada l’è longa, ghè amò de laurà,

gh’è i vacc ‘ndala stala ca in da regulà.  

 

Verso le ore quindici tutti nel campo perché si deve caricare il carro di fieno. Ma la giornata di lavoro non è ancora finita, verso le cinque del pomeriggio si ripete l’operazione della mungitura delle mucche. 

 

E dopu avè mungiű, scaricàa ‘l fée soeu la cassina,

toeuc ‘ndal fòss per dàss ‘na netadina.  

 

Una volta munto le mucche e scaricato il fieno sulla cascina,  non resta altro che ripulirsi e darsi una rinfrescatina nel fosso che scorre davanti alla cascina. Questo è il momento un po’ più rilassante della giornata perché nel fosso i ragazzi giocano a farsi i dispetti con i bambini.

 

 

La siira per disnà, ‘l solit minestroon,

‘na fèta de pulènta riscaldada e al paa col jambòn.

La giurnada l’è finida,‘l suu l’è tramuntàa,

‘l paisà ‘l và ‘n lecch, la finì de laurà.

 

 

 

 

La cena della sera, il solito minestrone unto e bisunto con le occhiate di lardo dentro, fatto con tutte le verdure dell’orto; una fetta di polenta riscaldata nel lardo, un panino di mortadella e un frutto di stagione raccolto nei campi.

La giornata di lavoro del contadino termina in questo modo. A letto presto per essere pronti al mattino, al canto del gallo, a riprendere il duro lavoro della terra. 

 

 

Questa l’éra la vita dala campagna,

la vita da la pora gént,

ca gheran nigott,

ma ga mancava nient.  

 

Questa era la vita della campagna, la vita di gente che aveva come unico scopo della vita, il lavoro e fare figli; per questo è definita “pora gent”; gente che non possedeva niente se non il lavoro dei campi e le piccole soddisfazioni che la vita concedeva loro, latte e formaggi fatti in casa, una fetta di salame nostrano e la domenica, all’osteria, un bicchiere di vino genuino e lo scambio di quattro chiacchiere con gli amici. Gente che non possedeva niente, ma a cui non mancava niente….o, forse mancava tutto, ma non avevano il tempo di rendersene conto.

 

 

 

 

fotografie di Renato Siesa -  tratte dal  presepe di Sabbioni di Crema

 

Renato Siesa

 

10/03/2006