Sono nato in una delle corti della servitù della Villa Borromeo, in "cuntrada Magjura"; la così detta “curt dal Cach” o "curt dal curer", così denominata dal soprannome del fabbro che aveva la propria officina o dal corriere che abitava nel cortile.

La "Curt dal Cach" era una delle più laboriose del paese; oltre al “feree” (Cach), avevamo al “legnamee” (Paulen), al “Curer” (Cantù), al ”casular” (Pen), al “sart” (Pepinèt), la “sucurina” (Serèna), la “perüchera” (Angelina), al dentista, la "mercanta", la "usteria" del “Sangal” divenuto più tardi la “tabaccheria e osteria della Olga” e la "usteria" del “Biciol”.

Le osterie in Cassano erano numerose perché era l’unico luogo di ritrovo dove si poteva passare il poco tempo libero che il lavoro e la famiglia ti lasciavano; si poteva discutere, giocare a carte e in alcune osterie c’era anche il gioco delle bocce, ma soprattutto si beveva vino.

Il mio ricordo per una di queste due osterie è particolare, da bambino mi recavo all’osteria del “Sangal” per comperare un quartino di vino per mio papà e per farmi regalare le caramelle; ormai gli avventori mi conoscevano e quando mi vedevano mi regalavano le caramelle, in cambio volevano che facessi il verso del gallo “Renato fa al galet”.

Figura 1 La curt dal Cach

Durante la bella stagione, i tavolini sotto al bellissimo pergolato di glicine, erano occupati dai cassanesi che si divertivano a giocare a carte e bere il vino.

Della curt dal “Cach”, mi ricordo di un ampio cortile alberato recintato, dove con i miei amici e compagni di giochi, solevo passare le belle stagioni giocando sotto gli alberi, scavando buche che poi riempivamo con l’acqua che attingevamo alla “tromba”, posta nel centro dell’ampio cortile, vicino alla casa della zia “Rigina”, poi spostata vicino alla “Cicilia Galèta”. I nostri giochi erano di fantasia, d’altra parte i giocattoli erano per bambini più fortunati (ed erano pochi), giocavamo a “borli” a“traföra”, al “gir d’Italia”; poi a rincorrerci a “tagalét”, insomma ci si divertiva senza giocattoli e soprattutto non eravamo in mezzo alla strada.

Nella parte del cortile verso l'osteria del "Biciol" c'era un lavatoio interrato dove tutte le massaie del cortile lavavano i panni; ma dopo l'annegamento di

 

un bambino, era stato chiuso, e così, le donne dovevano caricare il "sigiön" su di una carriola e andare al lavatoio della "rogia culdara", alle quattro strade.

Mi ricordo che non avevamo l’acqua in casa, si attingeva l’acqua presso la “tromba” del cortile; si riempiva un secchio di rame e si appendeva ad un gancio murato in un angolo della casa e, quando avevamo sete, si beveva acqua fresca col "casü". L'acqua era limpida, fresca, buona, come quella che ancora si trova solo in alta montagna. D’estate invece si preparavano bottiglie d’acqua con le polveri “viscì” comperate dal “Cairati”, che mettevamo al fresco nel secchio di rame appeso al solito gancio. E per lavarci? Durante l'inverno si faceva scaldare l'acqua sulla stufa a carbone e legna, mentre d'estate ci si lavava nel "sigiön" con acqua riscaldata dal sole. Mi ricordo che nello stesso "sigiön" lavavano me e mia sorella, mentre per mio fratello più grande, mettevano un secchio a parte. Le donne scaldavano l'acqua al sole anche per fare la "bügada", con lisciva e cenere e poi stendevano le lenzuola al sole; durante il giorno della "bügada" i cortili erano tappezzati di biancheria e le donne la curavano a vista per paura che i bambini rovinassero il lavoro di un'intera giornata.

Che ricordi!

Il riscaldamento non c'era, avevamo una stufa che bruciava legna e carbone e i muri imbiancati diventavano neri; la stufa riscaldava tutta la casa che era disposta su due pani, un locale al piano terra adibito a cucina e tinello e, un locale di sopra adibito a camera da letto; la camera era riscaldata dalla stufa al piano terra, attraverso un buco che era stato fatto nel plafone togliendo due mattonelle; che "frèch che fasiva"; al mattino l'acqua nella brocca posta sotto al lavabo era ghiacciata; solo verso la metà degli anni cinquanta arrivò il metano. La prima stufa a metano di casa mia non era altro che quella che bruciava legno e carbone, modificata con l'inserimento di un bruciatore. L'inverno degli anni cinquanta era rigido, la neve che cadeva in dicembre era alta anche sessanta, settanta centimetri e durava fino a Pasqua. Per uscire dal cortile occorreva spalarla; mi ricordo che gli uomini, al mattino presto, si alzavano e con i badili la spalavano in modo tale da fare dei passaggi fino al cancello del cortile e poi via di corsa al lavoro.

E la nebbia! Quanta nebbia! Da fine novembre fino a febbraio inoltrato, era spessa che si poteva tagliare con un coltello e durava giorni e giorni. Ci si vestiva con abiti pesanti, con maglioni di lana che le nostre nonne sferruzzavano con lana riciclata; il cappotto..., chi l'aveva lo tramandava di figlio in figlio mentre gli uomini anziani erano dotati di tabarro.

I gabinetti, erano posti all'estremità del cortile. erano quattro o cinque, uno di fianco all'altro dotati di turca; la carta igienica non sapevamo nemmeno cosa fosse; appesa a un filo di ferro c'era carta da giornale. La notte, non potevamo certo uscire dalla camera per raggiungere i gabinetti e, ogni camera era dotata di più vasi da notte o da un secchio per l'occorrenza.

La primavera era accolta come una liberazione; le donne facevano "i mistee de Pasqua", spalancavano "i gelusei" delle camere, spostavano mobili, mettevano la cera sulle mattonelle rosse del pavimento, spazzavano, mettevano i materassi sulle ringhiere per prendere il sole, lavavano, stendevano; gli uomini "sbiancavan", pitturavano gli stipiti, le porte, le persiane, uno aiutava l'altro e così via. Il cortile era una grande famiglia, ci si faceva in quattro per aiutarci, ognuno sapeva tutto dell'altro, in realtà non c'era nulla da nascondere; le porte delle case erano sempre aperte di giorno e la notte si accostavano, non c'era nulla da rubare e nulla da farsi rubare.

Durante l'estate, la sera, la "sciüra Gina" radunava davanti alla sua porta tutti i bambini del cortile e raccontava "la pensaniga" (una storia) che si tramandavano di padre in figlio e tutti ad ascoltare a bocca aperta per una paio d'ore.

Poi nel 1954, con l'avvento della televisione in Italia, l'osteria del "Sangal" allestisce una  delle    prime

Figura 2 La curt dal Cach

sale televisive di Cassano; da qui inizia il cambiamento. Al pomeriggio tutti all'osteria (che più tardi chiameranno "Bar") per vedere le avventure di Rintintin, mentre la sera gli spettacoli televisivi "Lascia o raddoppia" "il musichiere" prendono il posto de bei racconti della "sciüra Gina".

Verso la metà degli anni cinquanta la curt del Cach subisce una grande trasformazione; l'osteria del "Biciol" e il relativo cortile di alberi all'estremità della mia casa, lascia al posto ad uno dei primi edifici moderni di Cassano d'Adda, il palazzo della Cassa di Risparmio. Qualche anno dopo anche il cortile davanti alla mia casa lascia il posto ad un palazzo; sorgono così i primi negozi moderni di Cassano. La curt del "Cach" praticamente sparisce. Solo le vecchie case della corte resistono agli anni anche se piano piano subiscono delle ristrutturazioni.

Nel 1960 la mia famiglia abbandona il cortile per spostarsi nelle nuove case moderne costruite in Via Vincenzo Gioberti, ed io con lei.

Sono passati più di cinquant'anni, ma il mio cortile ce l' ho ancora impresso nella mente, così come tutte le famiglie che mi hanno visto crescere e alle quali sono sempre rimasto molto legato dall'affetto e dalla riconoscenza: Sangal, Gina, Rüseta, Rinaldo, nona risaroeula, papà Silvio, mama Virginia, Delina, Carlo, Celia, Lice, Cesar, Pen,Tina, Delaide, Gen, Cicilia col so Cesar, zio Natalen, zia Rigina, Angelina, Mario, Rina Slava, Olga, Pepinet, Paulen, Mudestina, Cec, Cach, Mariuccia Cacia, Gidio, Pina Magia, Serena, Biciol, Biciola, e altri cui mi sfugge il nome ma non per questo sono meno presenti.

Grazie di essere esistiti.  

 

I BAMBINI DEL CORTILE NEGLI ANNI '50 (ME COMPRESO)

 

Renato Siesa/2003