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La gloria di S. Antonio ( particolare del soffitto) foto di R. Siesa |
fratelli, notizie biografiche valide2. L'Orlandi
fa del nostro un seguace di Camillo e poi di Giulio Cesare Procaccini,
smentito a metà dalla moderna critica che guarda verso gli Zuccari e i
pittori dell'Italia centrale. Il Lanzi con notevole acume dice: « Fu
dei primi che aderissero ai Procaccini; e potrà per la età situarsi
nella loro epoca, se la sua maniera di dipingere, soverchiamente veloce,
non meritasse inferior luogo. Abbondava di quel fuoco che, usato con
giudizio, dà anima alle pitture; abusato ne scompone la simmetria ». E
poco oltre: « ... scorretto ma spiritoso. Ne restano non solo lavori a
fresco, ma inoltre quadri a olio di istoria, di battaglie, di
prospettive, di paesi, quasi in ogni angolo della città ». La critica moderna, che non ha ancora specificatamente
studiato l'artista e non a sufficienza il periodo nel suo complesso, lo
definisce pittore di pratica, di onesto mestiere, di facilità inventiva
buona per le più diverse occasioni iconografiche, dal comporre già
scontato, dalle figure intercambiabili, solo ispirato a tratti, in
qualche spiritoso guizzo di maniera, dai maggiori maestri locali e
soprattutto, come più o meno molti dei suoi tempi, da Gaudenzio
Ferrari. La difficoltà di precisare uno svolgimento stilistico e di
discriminare, nelle opere comuni, le mani dei due fratelli Gìovan
Battista e Giovan Mauro, non è stata ancora affrontata. Solo l’Arslan,
nei suoi cenni precisi, definisce Giovan Mauro manierista lombardo non
immeritevole, e cerca di inquadrarlo, di analizzarne la pittura, di
distinguerlo dal fratello, e non' manca di notare la volubilità di
pose, il gonfiarsi di vesti, la ridondante vena gaudenziana che muovono
a tratti la sua pittura 3. Non c'è di che insuperbirsi e il lettore potrà chiedersi
perchè ci stiamo soffermando su un'opera, sia pure sconosciuta, di
tanto piccolo e mediocre maestro. Valutazioni a parte, egli è per noi
non soltanto un artista che merita più meditato giudizio, ma è anche
come una stretta finestra a capo di un corridoio ancor buio che
cominciamo a percorrere. Consideriamolo per ora semplicemente un artigiano. Un
semplice artigiano della pittura, padrone consumato, e innamorato anche,
del suo mestiere; chè, del resto, la viva espressione del Dell'Acqua di
«pittore di pratica» con la quale lo associa al Duchino (Paolo Camillo
Landriani), non vuole significare altro. Consideriamolo inoltre in sé,
dimenticando, per il momento e nei limiti del possibile, il tempo,
l’ambiente, l'atmosfera. Non si potrà, per esempio, negargli il merito di essere il
continuatore più fecondo di quella gloriosa tradizione dell'affresco
che dal Foppa al Bergognone, da Luini a Gaudenzio, dal Lanino al Lomazzo,
ai Campi, al Peterzano, costituisce una delle caratteristiche
dell’arte lombarda. Da Milano ai Sacri Monti delle Prealpi, dalla
piana lombarda alle tre pievi del Lario, dal 1608 al giorno della morte,
per un quarantennio egli anima delle sue composizioni vive, facili e
ridenti, chiese, santuari, cappelle e fors'anche palazzi e case, se una
metodica ricerca permetterà l'arricchimento del già notevole catalogo. Facili, popolari anche; ma non tanto, o non affatto,
superficiali, come si vorrebbe, se vi soffermate su questo breve ciclo.
La freschezza del colorito, l'armonia delle tinte, il sapiente
accostamento dei colori (caldo-freddo, luce-ombra) ci colpiscono per
primi. In confronto degli affreschi cinquecenteschi ai quali il nostro
occhio è più congeniale, questi colori ci appaiono crudi.. Ma il
difetto è in noi, nel nostro modo tradizionale di vedere, non nel
pittore. Gli azzurri, i gialli, i rossi, i verdi, i marroni, gli stessi
bianchi e i rosa, i malva, i viola, i perlacei, i grigi, gli
acqua-marina sono per lo più usati schietti, non mescolati, non
attenuati e mischiati, ma così come le terre li danno. Non basta il
mestiere per tanta sicurezza, occorre il sentire. Occorre una magari
modesta ma viva e presente liricità cromatica. E la sommessa musica e
il forte concertato di molti accostamenti saltano agli occhi in ogni
composizione. Sicurezza di segno e sicurezza di tocco si accompagnano a
questa sensibilità cromatica. Per la perspicuità del primo, nei
contorni, negli scorci, nella variata delimitazione prospettica dei
piani, non. vi è che isolare una qualsiasi delle figure di primo piano,
o considerare i ritmi e gli stacchi che reggono ogni episodio. Quanto al
tocco, in questi affreschi dove passiamo dal colore campito-pieno in
vaste zone cromatiche al colpo di pennello o alla goccia di tinta per
una luce, un'ombra, un occhio, un ricciolo, ove passiamo dal fare più
largo e sicuro alla tecnica più compendiaria, non vi è che da
scegliere. Così, nella predica dell'avaro, lo schieramento di donne con
le fredde e argentine note alternate di azzurri e verdi e rosa, quasi il
cantabile motivo di un'aria popolare a cui il viola del morto e il
giallo della barella fanno
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Storie di S. Antonio - I miracoli alle esequie - particolare (fotografia di R. Siesa)
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2Figli di un Carlo, fiammingo. che si accasò a Milano ed ebbe numerosa prole (Orlandi), i tre. pittori Della Rovere, chiamati tardamente anche Rossetti, forse per confusione tra Robor e Rubeus, sono Giovan Battista (circa 1561-1.623), il maggiore, attivo soprattutto a Milano ma anche a Monza, Cantù, Chiaravalle, Sabbioncello, Locamo, ecc., e spesso in stretta collaborazione col più giovane e più. famoso Giovan Mauro (circa 1570 -1640), operoso tra l'altro a Como e nell'alto lago, a Locarno, Brescia, Pavia, Novara, Pallanza e nei Sacri Monti di Orta, Varallo e Varese; e infine Marco del tutto evanescente perchè semplicemente menzionato, senza altro riferimento, dal solo Lanzi. Ma nulla sul loro stato di famiglia, relazioni, contratti. Talché la loro importanza deduciamo solo dalla fama e dal numero appunto delle commissioni e dei committenti. Essenziali per questo i vasti elenchi di opere e la diligente bibliografia compilati da PAOLO ARRIGONI sul Thieme-Becker (XXIX, 1935, ad vocem), anch'egli costretto a dare soltanto le non sicurissime date di. nascita e di morte. Il vecchio Nagler ricorda l'attività incisoria dei fratelli. Le grandi enciclopedie si rifanno, uguali e pedisseque, all'Orlandi, al Lanzi e al spesso infido Malvezzi. Gli archivi, forse, potranno dirci qualcosa. Ad esempio, una mappa della chiesa e casa parrocchiale di San Pietro all'Orto in Milano (Archivio Arcivescovile Spirituale, Sez. X: S. Carlo, Vol. III), riprodotto in Storia di Milano, X, pag, 386, ci rivela che le case dei Fiamminghini erano nella contrada della « Sozza Innamorata » all'angolo appunto di San Pietro all'Orto.
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