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(da: Memorie di un partigiano di Cesare Bettini) da "I Quaderni del Portavoce n. 28"

 

Da Campello Monti a Malesco

Circa una settimana dopo l’occupazione di Omegna, il 22 gennaio 1944, fui inviato col mio gruppo sulla cresta di spartiacque tra la Valstrona e la Valdossola come avanguardia di tutta la formazione del Cap. Beltrami, che avrebbe dovuto lasciare la Valstrona e spostarsi in altra zona.

   

Infatti dopo pochi giorni ci raggiunse una colonna di circa 90 partigiani suddivisi in vari gruppi. Comandava il tutto l'avvocato Citterio(l), un ufficiale degli Alpini molto preparato che aveva esperienza di guerra e che aveva anche combattuto in Spagna come ufficiale di collegamento contro Franco.

Ai suoi ordini c'erano il Ten. Testori dei bersaglieri, ufficiale in S.p.e. di Cremona, amico dei fratelli Di Dio coi quali, dopo l'armistizio, era salito in Valstrona al comando di un primo gruppo di Partigiani che formavano la compagnia "Massiola" fusasi con la Banda Beltrami proprio quando io, dal bergamasco, ero riuscito a raggiungere lo stesso gruppo accompagnato dalla contessa Bonacossa; il S. Ten. Francesconi e Lino Ferrari, un antifascista comunista molto preparato politicamente e molto stimato e che fu il primo commissario politico del gruppo Beltrami; il Ten. Rutto(2) che una volta sceso nell'Ossola fu inviato verso Miazzina dove prese contatto con la formazione del Maggiore Superti.

Con questa colonna di Partigiani c'erano anche alcuni ex prigionieri inglesi e un funzionario italiano della Società delle Nazioni, con la moglie e i figli, che aveva dovuto lasciare l'incarico perché ebreo e che avremmo dovuto fare espatriare in Svizzera.

Dal comandante Citterio seppi che avremmo dovuto raggiungere Malesco in Val Vigezzo, attraverso la Valgrande, tutte zone di cui ignoravo l'esistenza e di cui non avevo una cartina per sapere almeno dove ci saremmo diretti.

La neve era molto alta, il freddo intenso, l'equipaggiamento inadatto, i viveri scarsi, le baie molto rare, per cui quella marcia di trasferimento fu una cosa tremenda. Ricordo due ex prigionieri inglesi ai quali dovetti fare un massaggio ai piedi per un principio di congelamento e ricordo la pena che mi fece l'avvocato Veiler(3) anziano ed esile che si sprofondava nella neve fino al ventre.

Col mio gruppo ero in testa alla colonna che la sera si divideva per pernottare anche isolatamente secondo le baite che si potevano trovare sul nostro percorso.

Coi miei partigiani mi ero messo in una baita molto misera con poca legna tanto che non ci potemmo neppure a lungo scaldare; speravamo di trovare del fieno nella parte superiore alla quale si accedeva dall'esterno, ma invece del fieno trovammo un mucchio di neve gelata che era filtrata con la tormenta tra le ardesie del tetto.

Il mattino proseguimmo il cammino con tutti gli altri gruppi e solo verso sera, ormai in vista della Valdossola giungemmo, lungo un canale che portava al bacino di una centrale elettrica, ad alcune baite dove la neve era minore sia per la migliore esposizione al sole, sia per una quota molto più bassa. Una baita era abitata dal custode del canale che ci accolse con molta cordialità e così ci asciugammo, ci riscaldammo e ci rifocillammo con qualcosa di caldo.

Lì sostammo tutto il giorno seguente per riprendere le forze e feci delle lunghe chiacchierate soprattutto con Citterio che volle sapere i mie precedenti e quando seppe che avevo fatto parte di quel gruppo che aveva operato nel Bergamasco con le azioni di Sarnico e di Lovere, pensò di contare su un elemento sicuro e valido perché disse a tutti che per aver fatto parte di quel gruppo bisognava avere un fegataccio.

Così il giorno dopo quando scendemmo al fondovalle, di fronte a Premosello, Redi volle che rimanessi io con lui e il gruppetto dei carabinieri con i mitragliatori piazzati finché tutta la colonna avesse attraversato la vallata e avesse ripreso a salire sulla montagna opposta. Così fummo gli ultimi a raggiungere Colloro il sabato sera, verso le dieci e ci sdraiammo sul pavimento di cemento dove ci fermammo anche il giorno dopo, domenica 30 gennaio. Nel pomeriggio il S. Ten. Balossino convinse il S. Ten. Francesconi a scendere a Premosello con alcuni partigiani, contrariamente agli ordini impartiti dal Cap. Beltrami e trasmessi a tutti da Redi, ed attaccò la caserma di Premosello con l'unico risultato di mettere tutta la vallata in allarme, tanto che arrivarono i tedeschi e cominciarono a far fuoco sulla montagna. Allora Redi mi pregò di scendere con un gruppetto per proteggere la ritirata dei nostri e, quando tutti raggiunsero Colloro, rimasi col mio gruppo e con Citterio finché il resto della colonna, per disposizione di Citterio, raggiunse posizioni più alte e più sicure. Ricordo che durante la ritirata vidi il giovane Gaspare Paietta( 4) salire tranquillo verso Colloro, senza neppure chinarsi e allora lo presi con me raccomandandogli di comportarsi come facevo io, cosa che fece appena le pallottole gli passarono vicino alle orecchie, tanto che quando raggiungemmo Colloro mi disse: "Orco cane, non credevo che le pallottole facessero questo effetto!" Il poveretto, esattamente due settimane dopo, sarebbe caduto nella battaglia di Megolo!

Quando tutti si furono ritirati anche noi ci spostammo più in alto ed ebbi notizia che uno dei miei partigiani che aveva voluto scendere col S. Ten. Balossino era stato ferito, ma non si sapeva se in modo grave e dove si trovasse. Il mattino seguente la colonna riprese la marcia verso la Colma per inoltrarsi poi nella Valgrande, ma prima di partire vennero da me un carabiniere siciliano, già decorato in guerra di medaglia d'argento e di cui purtroppo non conosco il nome e l'alpino Garavaglia della Val Vigezzo dicendomi: "Signor Tenente, noi non partiamo se prima non abbiamo ricuperato il nostro amico Fugazzi, ossia il nostro partigiano ferito il giorno prima durante quel combattimento". Risposi loro che non li lasciavo andare soli e che cercassero un altro volontario che trovarono subito in un tale di Quarna detto il "Camusin", famoso cacciatore di camosci. Allora chiesi a Citterio il permesso di scendere alla ricerca del nostro ferito, ma il Comandante era restio a concedermi il permesso e solo dopo avermi chiesto la parola d'onore che non avrei attaccato nessuno, acconsentì a questa missione.

Scendemmo e dopo circa un quarto d'ora ci fermammo in esplorazione prima di avvicinarci al paese che ormai si vedeva. Misi Garavaglia ed il carabiniere appena oltre un costone e il Camusin dietro al piedistallo su cui sorgeva la Croce per le Rogazioni, mentre io mi ero fermato sul sentiero per chiedere informazioni ad un ragazzino che giungeva di corsa nella direzione opposta alla nostra. Gli chiesi se avesse visto dei fascisti o dei tedeschi in paese e questi mi rispose che sì, li aveva visti, ma molto tempo prima e nella stessa nostra direzione, ossia oltre Colloro, verso Prata; ma scappò via subito.

Dopo pochi secondi sento: "Toi là!" e contemporaneamente il fuoco di un mitragliatore fa piovere una quantità di proiettili intorno a me senza colpirmi. Ci sono voluti un paio di secondi per riuscire a scorgere il plotone di repubblichini che, a circa 80 metri da me, continuava a spararmi addosso mentre io, visibilissimo perché su un sentiero pulito, mi toglievo il fucile da tracolla per rispondere al fuoco cercando di vendere cara la pelle. Mi vedevo spacciato e pregavo, ma non perdevo la calma. Intanto il Camusin mi gridava: "Venga qui signor tenente, lì lo ammazzano" e cominciava a sparare sul gruppo di repubblichini colpendo un attaccante. A grandi rotoli raggiunsi il Camusin tra quella pioggia di pallottole che miracolosamente non mi colpirono (era il 31 gennaio, San Giovanni Bosco di cui ero e son devoto) e sparai un colpo; dopo di che il Camusin mi disse: "mi dia il suo moschetto e aggiusti il mio che si è inceppato!" Così feci; sparammo tutti e due alcuni colpi, poi ci ritirammo oltre il costone dove avevo messo gli altri due che sentivano sparare ma non vedevano nessuno. Tutti e quattro scendemmo di pochi metri, attraversammo il torrente immergendoci fino alle cosce e risalimmo la montagna fuori tiro fino alla cima per poi scendere verso la Colma che era già mezzogiorno passato raggiungendo il grosso della colonna senza aver potuto ricuperare il nostro ferito che, sapemmo dopo, fu salvato dalla popolazione che lo aveva nascosto in una stalla e poi fatto curare da un medico dell'ospedale di Premosello.

Incontrai il Fugazzi solo 30 anni dopo in una manifestazione a Domodossola!

Proseguimmo la nostra marcia fino sopra Malesco in Val Vigezzo attraverso l'immensa e spopolata Valgrande tra le neve alta, con una sola tappa in località Valpiana al fondovalle. I miei partigiani ed io eravamo anche senza coperte e pensavamo di non resistere a quel tremendo freddo, ma per fortuna trovammo nelle baite dei mucchi di foglie di faggio sotto i quali ci infilammo dietro l'esempio del Camusin così che, dopo un paio d'ore, eravamo addirittura sudati.

Riprendemmo la nostra marcia il mattino seguente sempre tra la neve alta, ma con un cielo sereno e un sole luminoso nelle poche ore in cui splendeva e verso sera arrivammo sopra Malesco.

Non avevamo più viveri. C'erano molte baite in cui potemmo sistemarci tutti e vi trovammo parecchie patate che furono provvidenziali. Catturammo anche una capra che cuocemmo allo spiedo e intanto qualcuno aveva preso un gatto e lo cucinò arrosto; ne diedero un pezzo anche a me ed era la prima volta che ne mangiavo: non so se era per la gran fame e se realmente era buono, fatto sta che lo trovai squisito.

Ci fermammo una buona settimana e qualcuno scendeva a Malesco per fare provviste di viveri.

Verso il 6 o il 7 di febbraio ci raggiunse l’Avv. Macchioni(5) del C.l.n. di Omegna con un'altra persona e con degli ordini del Cap. Beltrami e ciò fu per me un riprendere il contatto col mondo.

Con lui partirono anche Lino Ferrari e Redi, cioè Citterio, dopo aver lasciato il comando al Ten. Testori.

 

 

1) Avv. Gianni Citterio detto Redi - Nato a Monza nel 1908. Ten. degli Alpini.
Ha combattuto in Spagna come ufficiale di collegamento contro i Franchisti.

Dopo l'8 settembre 1943 incita alla lotta contro i tedeschi. Ricercato viene inviato dal P.c.i. nella Banda del Cap. Beltrami a fianco del quale cade a Megolo il 13 febbraio 1944. È medaglia d'oro al V.m.

2) Bruno Rutto - Di Omegna. S. Ten. degli Alpini e tra i primi ad unirsi al gruppo del Cap. Beltrami in
Valstrona. Quando il capitano è attaccato a Megolo, Rutto si trova coi suoi uomini a Villa Ompio e dopo la
morte del Cap. Beltrami continua la lotta col suo gruppo che diventerà la Divisione "Patrioti Beltrami". Fu
uno dei più prestigiosi comandanti partigiani del Verbano-Cusio-Ossola.

3) Avv. Veiler - Funzionario della Società delle Nazioni.

Dovette abbandonare l'ufficio perché ebreo e si riparò con la famiglia in Valstrona nella formazione del Cap. Beltrami che, dopo un tremendo percorso tra le montagne innevate, riuscì a istradarlo in Svizzera con tutti i suoi.

4) Gaspare Paietta - Giovane studente, comunista convinto come il più famoso fratello On. le Giancarlo
Paietta. Morì a Megolo il 13.02.44 dopo aver valorosamente combattuto.

5) Macchioni Mario - Avvocato del C.l.n. di Omegna. Aderì al gruppo del Cap. Beltrami per breve tempo. Costretto a presentarsi perché avevano preso in ostaggio la famiglia, fece da tramite tra Beltrami e il Cap. Simon delle S.S. È autore del libro: Filippo Maria Beltrami - "Il Capitano".

 

il gruppo Bettini è citato in un libro di Eugenio Corti "IL CAVALLO ROSSO" giunto alla sua XXVI edizione italiana

alle pagine che vanno dalla 737 alla 753 e di cui vi riportiamo alcuni passaggi 

 

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