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Un capitolo a parte vogliamo dedicare al Parini perché, in qualità di precettore di Febo D’Adda[1] soggiornò in Villa Borromeo dal 1793 al 1796.

E’ a tutti nota la rilevanza del Parini nella storia della nostra letteratura. Solo qui vogliamo ricordare alcune note anche per chiarire la contrapposizione su questo argomento con il Verri già citato.

Il Parini espresse pubblicamente il suo concetto di poesia nel 1762 nell'Accademia dei Trasformati[2]; "E benché io sia d'opinione che l'instituto del poeta non sia di giovare direttamente, ma di dilettare, nulladimeno son persuaso che il poeta possa, volendo giovare assaissimo"[3].

Il bello e l'utile sono, perciò, nella poetica pariniana indisgiungibili, anche se la bellezza può e deve essere veicolo del vero e del bene.

Come afferma Dante Isella[4] il Parini, solitario e aristocratico, assegna con stoica determinazione al poeta una funzione essenziale nello svolgimento della storia.[5] Egli intende la "poesia come moralità" capovolgendo la posizione sostenuta da Pietro Verri, che propone come ideale "la moralità nella poesia".

E nell' Ode "Alla Musa" il Parini esprime in modo ancor più pregnante la sua concezione poetica. L’ode appena citata ci interessa non solo per il suo valore artistico ma soprattutto perché  è dedicata a Febo D'Adda nell’imminente paternità dello stesso.

Il Parini rimprovera con affettuosa delicatezza il giovane per essersi allontanato dal culto della poesia distratto dalla dolcezza della passione amorosa che lo ha avvicinato alla giovane sposa, Leopolda Kevenhuller.

Nell'Ode la poetica pariniana è calata nel vivo di eleganti immagini neoclassiche e, nella parte centrale della stessa, sciorina il dolce rimprovero al suo allievo.

 

 

“Dunque per che quella sì grata un giorno

del Giovin cui diè nome il dio di Delo

cetra si tace; e le fa lenta intorno

polvere velo?

Ben mi sovvien quando, modesto il ciglio,

ei già sçendendo a me giudice fea

me de' suoi carmi: e a me chiedea consiglio:

e lode avea.

Ma or non più. Chi sa? Simile a rosa

tutta fresca e vermiglia al sol che nasce,

tutto forse di lui l'eletta Sposa

l'animo pasce.

E di bellezza, di virtù, di raro

amor, di grazie, di pudor natìo

l'occupa sì ch' ei cede ogni caro

studio all'oblìo.

Musa, mentr' ella il vago crine annoda

a lei t'appressa; e con vezzoso dito

a lei premi l'orecchio; e dille: e t'oda

anco il marito:

-         Giovinetta crudel; per che mi togli

tutto il mio D'ADDA, e di mie cure il pregio,

e la speme concetta, e i dolci orgogli

d'alunno egregio?


E più avanti:

 

 "Io con le nostre il volsi arti divine

Al decente, al gentile, al raro, al bello:

fin che tu gli apparisti alfine

Caro modello.

 

La Musa incarna l'immagine elegante e preziosa della poesia così come la concepivano i neoclassici. Proprio la sublimità della poesia che lo ha reso capace di apprezzare il decente, il gentile, il raro, il bello gli ha consentito di scorgere nella delicata personalità della sposa il "caro modello" vagheggiato nella creazione poetica. La capacità di cogliere questo dono della natura è aristocraticamente inteso come una prerogativa degli spiriti eletti, così come la tradizione classica insegna e come la nuova filosofia dei lumi ribadisce con l'auspicio di renderne più estesa la cerchia.

L'Ode, pubblicata nel 1795, costituisce, inoltre, un vero testamento spirituale. A quattro anni dalla morte il maestro, dall'alto della sua esperienza, può tratteggiare una summa dei valori sui quali costruire la propria vita, dinanzi allo sguardo del giovane discepolo, recentemente entrato, con il matrimonio e l'imminente nascita del primogenito, nel novero di coloro che hanno responsabilità civili e sociali.

Non le ricchezze, ma la semplicità del cuore ed una mente sana consentono di vivere con serenità la propria vita al di fuori delle convenzioni e dei condizionamenti della vita cittadina.

Alla città inquinata e corrotta, sorda ai valori autentici, il Parini contrappone una campagna intatta, fisicamente e spiritualmente. Tale gli appare la campagna cassanese che circonda la splendida villa di Cassano, come quella del "vago Eupili" cantata ne "La vita rustica". Tuttavia la condanna dei mali fisici e spirituali della città si fa più incisiva e dura nell'ode "La salubrità dell'aria" grazie a uno sperimentalismo linguistico che si distacca dalla tradizione arcaica per affrontare con inusitata concretezza i problemi derivanti dall'inquinamento fisico e spirituale, ma soprattutto dall'assenza di una volontà di risolvere i problemi della città in senso morale.

Febo D'Adda, appartenente all'aristocrazia cittadina, dedicatario dell'Ode Alla Musa, sulla linea delle orme paterne, segue la carriera diplomatica divenendo Ciambellano e Consigliere del Re e Vicepresidente del Governo Lombardo, ma dimostra di ricordare l'insegnamento dell' antico maestro rifugiandosi nella pace del borgo avito. Così, infatti, il Parini tratteggia l'ideale d'uomo amante della poesia:

 

Che spesso al faticoso ozio dei grandi

E all 'urbano clamor s'invola, e vive

Ove spande natura influssi blandi

O in colli o in rive:

 

Sembra sostenibile il riferimento alla località di Cassano da parte del Parini che si rivolge all'erede di una famiglia che proprio a Cassano aveva una splendida proprietà, testimone non solo della sua ricchezza e del suo prestigio, ma soprattutto della sua cultura.

Febo D'Adda volle essere sepolto nella Chiesa di Sant' Ambrogio presso il Cimitero.

Una lapide scoperta dalla moglie e dai figli ricorda il 1836 come anno della sua morte. Accanto è sepolta la sposa di Febo D'Adda a cui la Musa rivolge il suo dolce rimprovero.

 


[1] FEBO D'ADDA (1772-1836), figlio di GianBattista, nato il 17 luglio 1772, è la figura più celebre del casato. Fu decurione e ciambellano di Sua Maestà Imperiale prima del 1796, e consigliere di Stato del Consiglio degli Uditori (20 dicembre 1807) e cavaliere della Corona ferrea nel 1809.

Ebbe attitudine alla poesia, e vantò come maestro il Parini che, in occasione del suo matrimonio, scrisse per lui "Alla Musa" nel 1795. Sposò la contessina Leopolda Khewenhuller (nata a Pavia nel 1776, donna di palazzo dell'imperatore d'Austria nel 1825). La famiglia Khewenhuller giunse in Lombardia al seguito degli Asburgo. Annoverava tra gli antenati il conte Ludwig Andreas comandante generale dell'esercito imperiale in Italia (1735) e il conte Emanuele membro della Conferenza governativa creata in Lombardia dall'imperatore Leopoldo (1791).

Nel 1796, con l'arrivo dei napoleonici in Milano, il palazzo Khewenhuller di  Brera, fu scelto dal commissario francese Maximin quale residenza dello Stato rnaggiore dell'Armata d'Italia. Nella casa del principe Khewenhuller di via Rugabella sorse, invece, il primo club giacobino di Milano denominato "Società della libertà e dell'eguaglianza". La villa Khewenhuller, passata più tardi ai Borromeo, si trova a Solaro.

Febo ebbe due maschi e quattro femmine.

Nel l796 con l'arrivo dei Francesi in Lombardia furono soppresse le feudalità: cessò pertanto anche il marchesato di Cassano. Nel 1818 Febo fu consigliere del governo restaurato e l'anno dopo gli fu riconosciuto il feudo di Pandino. Nel 1830 fu consigliere intimo, vicepresidente del governo di Lombardia e cavaliere dell'ordine di Leopoldo.

Morì di colera il 26 agosto l836. Venne sepolto a Cassano, in S. Ambrogio.

 [2] L'ingresso dell'abate Parini, di modesta estrazione sociale, nell'ambito dell'alta aristocrazia lombarda fu favorita dalla sua fama di letterato, oltre che dalla sua condizione di religioso. Nel 1753, dato il successo della sua pubblicazione di rime firmate con il nome di Ripano Eupilino, anagramma di Parini, nato sulle rive del lago di Pusiano (Eupili è il nome arcaico di Pusiano), era stato accolto nell'Accademia dei Trasformati, fondata nel Cinquecento e rilanciata da Giuseppe Maria Imbonati alla luce del pensiero illuminista interpretato in termini di un moderato progressismo. Alla stessa Accademia appartenevano i fratelli Verri e Cesare Beccaria che, più tardi, nel 1757, avrebbero fondato la più combattiva Accademia dei Pugni e pubblicato la rivista "Il Caffè", incline a considerare la letteratura d'oltralpe più concreta (cose, non parole) e superiore alla tradizione classica a cui faceva invece costante riferimento il Parini.

[3] Giuseppe Parini, Discorso sopra la poesia, 1762

[4] D. Isella, L’officina della “Notte” e altri scritti pariniani, 1968 pag.13 e seg.

[5] Vedi l'Ode "La caduta", in cui a chiare lettere il poeta si fa sostenitore di una rigorosa concezione morale:   "Buon cittadino, al segno!/ Dove natura e i primi/ Casi ordinar, lo ingegno/ Guida così che lui la patria estimi.”

 

 

 

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