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Febo ebbe due figli; Vitaliano e Carlo.

Vitaliano sposò Carolina Lamba Doria, nata a Genova nel 1817, dalla quale ebbe la figlia Costanza.

Costanza, il 26 settembre 1860, sposò il conte Carlo Borromeo portandogli in dote le proprietà di Cassano d'Adda, dato che non aveva fratelli maschi, col castello, la villa del Piermarini e la Volta.

I Borromeo divennero in questo modo i proprietari maggiori di Cassano d'Adda.

 

 

1781: Maria Carlotta di Savoia promessa sposa al principe di Sassonia pernotta e cena in pubblico con un treno di 274 berline carrozze e corteo di dame camerieri valletti cuochi medici cappellani (Milani)

1785: Le maestà siciliane e le altezze Reali in casa D'Adda

1807: 26 Ottobre o 22 Novembre: Napoleone con Murat, il vicerè con il generaI Berthiè ospiti del marchese Febo D'Adda.

 

 

 APPENDICE N° 1

 

Alla Musa  

Esaltata da molti come il vertice della poesia neoclassica settecentesca assieme al Messaggio, l'ode Alla Musa (1795) trae spunto da una circostanza occasionale, l'imminente paternità dell'amico marchese Febo D'Adda, per intessere una celebrazione della  bellezza e della poesia e per trattare un tema - come vedremo - assai caro al Parini, quello delle gioie dello stato coniugale. Del neoclassicismo quest'ode, oltre al dato esteriore dei riferimenti mitologici incarna soprattutto l'aspirazione di creare atmosfere limpide e serene e ad esprimere una pacata e superiore saggezza.

 

 

Te il mercadante, che con ciglio asciutto
Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama
Dura avarizia nel remoto flutto,
   Musa, non ama.

Né quei, cui l'alma ambiziosa rode
Fulgida cura; onde salir piú agogna;
E la molto fra il dí temuta frode
   Torbido sogna.

Né giovane, che pari a tauro irrompa
Ove alla cieca piú Venere piace:

Né donna, che d'amanti osi gran pompa
   Spiegar procace.

Sai tu, vergine dea, chi la parola
Modulata da te gusta od imíta;
Onde ingenuo piacer sgorga, e consola
   L'umana vita?

Colui cui diede il ciel placido senso
E puri affetti e semplice costume;
Che, di sé pago e dell'avito censo,
   Piú non presume;

 

Che spesso al faticoso ozio de' grandi
E all'urbano clamor s'invola, e vive
Ove spande natura influssi blandi
   O in colli o in rive;

E in stuol d'amici numerato e casto,
Tra parco e delicato al desco asside;
E la splendida turba e il vano fasto
   Lieto deride;

Che ai buoni, ovunque sia, dona favore;
E cerca il vero; e il bello ama innocente;

E passa l'età sua tranquilla, il core
   Sano e la mente.

Dunque perché quella sí grata un giorno,
Del giovin cui diè nome il dio di Delo,
Cetra si tace; e le fa lenta intorno
   Polvere velo?

Ben mi sovvien quando, modesto il ciglio,
Ei già, scendendo a me, giudice fea
Me de' suoi carmi: e a me chiedea consiglio:
   E lode avea.

 

Ma or non piú. Chi sa? Simíle a rosa
Tutta fresca e vermiglia al sol che nasce,
Tutto forse di lui l'eletta sposa
   L'animo pasce.

E di bellezza, di virtú, di raro
Amor, di grazie, di pudor natio
L'occupa sí, ch'ei cede ogni già caro
   Studio all'oblio.

Musa, mentr'ella il vago crine annoda
A lei t'appressa; e con vezzoso dito

A lei premi l'orecchio; e dille, e t'oda
   Anco il marito:

«Giovinetta crudel, perché mi togli
Tutto il mio D'Adda, e di mie cure il pregio,
E la speme concetta, e i dolci orgogli
   D'alunno egregio?

Costui di me, de' genii miei si accese
Pria che di te. Codeste forme infanti
Erano ancor, quando vaghezza il prese
   De' nostri canti.

 

Ei t'era ignoto ancor quando a me piacque.
Io di mia man per l'ombra e per la lieve
Aura de' lauri l'avviai ver l'acque
   Che, al par di neve

Bianche le spume, scaturir dall'alto
Fece Aganippe il bel destrier che ha l'ale:
Onde chi beve io tra i celesti esalto
   E fo immortale.

Io con le nostre il volsi arti divine
Al decente, al gentile, al raro, al bello:

Fin che tu stessa gli apparisti al fine
   Caro modello.

E se nobil per lui fiamma fu desta
Nel suo petto non conscio, e s'ei nodria
Nobil fiamma per te, sol opra è questa
   Del cielo e mia.

Ecco già l'ale il nono mese or scioglie
Da che sua fosti, e già, deh ti sia salvo,
Te chiaramente in fra le madri accoglie
   Il giovin alvo.

 

Lascia che a me solo un momento ei torni;
E novo entro al tuo cor sorgere affetto,
E novo sentirai dai versi adorni
   Piover diletto:

Però ch'io stessa, il gomito posando
Di tua seggiola al dorso, a lui col suono
De la soave andrò tibia spirando
   Facile tono:

Onde rapito, ei canterà che sposo
Già felice il rendesti, e amante amato;

E tosto il renderai dal grembo ascoso
   Padre beato.

Scenderà in tanto dall'eterea mole
Giuno, che i preghi de le incinte ascolta;
E vergin io de la Memoria prole,
   Nel velo avvolta,

Uscirò co' bei carmi; e andrò gentile
Dono a farne al Parini, italo cigno,
Che, ai buoni amico, alto disdegna il vile
   Volgo maligno».

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